Home Cultura Noi ci chiamavamo così. I soprannomi

Noi ci chiamavamo così. I soprannomi

Tra i tanti diritti riconosciuti alle persone c’è – normalmente – quello di scegliersi la professione, il coniuge, il luogo delle ferie, la squadra di calcio, ed altri ancora, ma mai né il cognome né il nome, che ciò spetta ad altri, solitamente ai genitori. Ancor più succedeva ai soprannomi, che non si sa come e da chi fossero ideati o imposti, e che poi rimanevano perenni, immutabili, fosse per una sola persona o per tutto un gruppo familiare.
Il soprannome viene da tempi ancestrali. Basta ricordare i personaggi eroici dell’Iliade come il “Pelide”, ch’era Achille, oppure Agamennone e Menelao chiamati gli “Atridi”, mentre nell’Odissea Ulisse era il “Laerziade”. Dall’epica alla storia il mondo romano è denso di soprannomi, dai due re Tarquini, il “Prisco”, cioè il vecchio, al “Superbo”, che pur non volendo aprì alla Repubblica, a sua volta anch’essa piena di possibili soprannomi. Tra i più famosi quelli della stirpe Cornelia, da cui poi vennero gli Scipioni, a lor volta soprannominati, per le loro famose vittorie, l’Africano, l’Asiatico, l’Emiliano e Nasica Corculum, che significa “dal gran cuore”.
I soprannomi s’addensano ancor più in epoca medievale, come i famosi Carolingi, dal capostipite Carlo Martello, ai suoi discendenti, Pipino il Breve, Carlo Magno, Ludovico il Pio, Carlo il Calvo, Ludovico il Germanico, fino a Carlo il Grosso. Anche il Rinascimento continua arricchendo i suoi soprannomi che, oltre ad esaltare re signorie e grandi condottieri come il Gattamelata, il Colleoni, si nobilitano dando valore anche ai borghesi, scrittori, poeti, pittori, scultori, orafi e tanti altri divenuti importanti per intelligenza e capacità, come il Pisanello, il Pistoia, il Caravaggio, e via via nei tempi lunghi della storia, cui però succede che anche i soprannomi cominciano a scemare nei tempi, e a lasciare quasi totalmente le città per restare aggregati nel paese, nei borghi, nelle campagne, tra gente comune, fabbri, maniscalchi, cordai, sarti, osti e tant’altri, per lo più in dialetto, così quelle parole erano ancor più colorate e ricche di più varie interpretazioni. Tuttavia, come dice la canzone “Tutto passa e si scorda / Tutto deve finir…”, sono finiti anche i soprannomi, ritrovandosene solo alcuni qua e là nei manifesti funebri, e messi tra parentesi. Tutti quindi sarebbero stati in breve dimenticati se non se ne fossero interessati, come i “folcloristi” del primo ‘900, i ricercatori che sono riusciti a ritrovarne densi gruppi e a fissarli, nei vari dialetti, nei libri, che diventano così preziosi.
Tra i tanti di questi nuovi “amanuensi” emerge nelle zone del riminese Maurizio Casadei, sammarinese di nascita, di Monte Colombo per adozione. Maurizio ha la penna che sgorga facile come l’acqua del suo Conca, ed oltre al lavoro a Riccione scrive su quotidiani, settimanali locali e riviste, e poi pubblica diversi libri di storia sociale, politica, religiosa, di vicende belliche oltre quelli sui soprannomi, di cui uno dal titolo Com una volta – Soprannomi, storie, personaggi di San Clemente, pubblicato da quello stesso Comune nel 1999. L’altro, ben più recente, si chiama Noi ci chiamavamo così, edito dal Comune di Monte Colombo alla fine del 2013. Nelle prime pagine vi sono inserite alcune frasi tratte da uno studio di Gianni Quondamatteo ove dice che i soprannomi, sia personali che collettivi, nascevano da cento e ben più motivi possibili. Potevano venire da “…un tratto caratteristico del fisico, un difetto, un’inclinazione, un portamento, fino alle pieghe del carattere, del cuore, del sentimento”. E continua: “… posson venire fuori anche dalla fantasia, dalla creatività, come dalla rabbia, dall’invettiva…”, sottolineando come “…i nomignoli meriterebbero ben altra attenzione”.
Ora questa maggiore attenzione la dà agli abitanti di Monte Colombo, ovvero anche a tutti gli interessati il libro di Maurizio Casadei, un libro ben sostanzioso, puntiglioso, che oltre ai soprannomi dà altre possibilità di lettura. Il primo capitolo si apre con il classico “Ma nun is disc…”e precisa poi “Nun a sem i Trantén, quei de mulén”, per distendersi a oltre il Paese, nelle varie frazioni e nelle sparse abitazioni, così da dire “Me a so de Borgh”, “de Péng”, “d’la Pataréna” e così continuando per Taverna e Croce e Osteria Nuova e San Savino… (nella foto la famiglia Balzi della zona Acquaviva, sotto Monte Cucco, 1955, soprannonimata Ghèr).
Dai soprannomi collettivi giunge a quelli individuali precisando, ove possibile, alcuni significati che possano giustificare il perché di quelli. Gli è stato anche possibile ricollegarli ad alcuni detti, aneddoti e persino raccontini, con cui, poi, si chiude il libro, ricco di un passato che riemerge, abbastanza intatto, tutto dai soprannomi. Ben sappiamo, oggi, che i titolari di quei soprannomi non ci sono più nella piazza del Paese, nelle case o nella Chiesa. Molti sono scesi nella piana verso il mare o sono in giro per il mondo, e al loro posto ci può essere gente diversa. Ma che importa? È la scrittura che permette, a tutti coloro che lo vogliano, il recupero del passato che fa rinascere tutto, anche i soprannomi.

Grazia Bravetti Magnoni