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Nella ‘giungla’ degli abusi

URBANISTICA. Il proprietario di un immobile deve rispondere degli illeciti, anche se sono stati posti in essere da terzi più di mezzo secolo prima. Segno che la materia necessita di essere riformata? L’analisi dell’esperto

Compro una casa e tutto fila liscio. Dopo qualche anno, però, scopro che su di essa sussiste un abuso edilizio di cui non sapevo nulla al momento della compravendita e del quale non sono in nessun modo l’autore.

Eppure, una volta rilevato, sarò io a doverne rispondere, a livello economico o, peggio, attraverso un ordine di demolizione. Certo, potrò rifarmi sul precedente proprietario, ma tra burocrazia e spese legali la faccenda, senza dubbio, non è semplice. Uno scenario, questo, piuttosto diffuso, perché frutto di un cortocircuito del sistema dell’urbanistica in Italia. Un sintomo, insomma, di un problema più radicato. Vale a dire: com’è possibile utilizzare i criteri e i procedimenti di oggi, (giustamente) più stringenti, per intervenire sugli abusi di un patrimonio edilizio in gran parte costruito mezzo secolo fa, quando, e non è certo un segreto, il rispetto delle regole in fatto di costruzioni non era la priorità, per usare un eufemismo? Perseguire abusi edilizi nati in quel periodo storico, con gli strumenti (e le sanzioni) di oggi, non rischia di creare una eccessiva pressione e incertezza sui proprietari immobiliari che per quegli abusi non hanno responsabilità?

Urbanistica, serve una “rivoluzione”

La sensazione, dunque, è che ci sia la necessità di un intervento radicale e generalizzato sulla materia urbanistica e dell’edilizia.

Ne è convinto Gilberto Leardini (nella foto), perito industriale edile riminese, che tra i numerosi incarichi ha svolto anche quello di presidente del Collegio dei Periti Industriali della provincia di Rimini, e che quindi conosce in profondità la materia e le sue criticità, presenti anche nel nostro territorio. “L’urbanistica e l’edilizia coinvolgono un altissimo numero di cittadini. – è la sua analisi – L’attuale normativa andrebbe riformata a tutti i livelli.

Infatti, a livello nazionale la legge urbanistica risale agli anni ’40 del secolo scorso (1942) e nonostante quella edilizia abbia poco più di vent’anni (legge 380/2001, il Testo Unico dell’Edilizia) è figlia di disposizioni aventi ormai più di cinquant’anni. È da tanto tempo che la politica nazionale rinvia la riscrittura del 380/2001, pur riconoscendone tutti l’esigenza.

Oggi abbiamo raggiunto una situazione al limite del tollerabile”.

Si spieghi.

“Per vendere un immobile si rende necessaria una relazione tecnica di conformità edilizia e catastale da presentare al notaio che redige l’atto notarile. Per questa operazione è necessario l’intervento di un tecnico, perito industriale edile, geometra, ingegnere e architetto. Qui viene il bello: dopo aver effettuato l’operazione dell’accesso agli atti presso gli archivi del Comune e fatta la dovuta comparazione, moltissimi cittadini si sentono riferire che bisogna fare una sanatoria per difformità urbanistiche, se il tutto rientra nella tolleranza del 2%. In altro modo, se la difformità è di maggiore entità, come ad esempio una soffitta più alta (anche di soli 20 cm) bisogna chiedere l’applicazione della oblazione che si trasforma in decine di migliaia di euro. Il tutto sull’intero patrimonio edilizio, e non su patrimonio costruito recentemente. Tutto ciò determina eventi incredibili, case costruite negli anni ’50, ’60, ’70 che non risultano in possesso delle caratteristiche tecniche evidenziate negli originali progetti. Ho conoscenza di case costruite dalle Ferrovie dello Stato a fine degli anni ’50, nel territorio riminese, che non sono in regola.

Esaminare con le modalità dell’oggi ciò che si è costruito dopo la prima legge fondamentale dell’urbanistica (1150/42) credo proprio che sia una modalità di lavoro non consona ad affrontare l’ordine dei problemi”.

Occorre, dunque, un cambio di rotta.

“Sono certo che la politica non possa continuare ad affrontare il problema su cardini di carattere ideologico.

Deve fare per forza un percorso che dia più serenità ai proprietari di immobili. Ripeto: come si fa a perseguire difformità che sono state poste in essere 40-50 anni fa? Il legittimo affidamento del cittadino che fine fa? Non ci si nasconda sui precedenti condoni edilizi, le modalità di lavoro dei tecnici privati e dei tecnici comunali erano totalmente diverse, meno cogenti, tant’è che alcuni cittadini godono del privilegio di avere un ‘condono tombale’ e altri di un condono solo per le parti evidenziate negli elaborati, creando disparità di trattamento fra gli stessi cittadini. Ora, se non si affrontano questi problemi, credo proprio che la politica tutta sia responsabile di non voler affrontare la questione, di voler vedere le cose con fette di prosciutto sugli occhi. So bene che rischio, nell’immediato, di essere tacciato di volere un provvedimento configurabile al condono, ma così non è”.

Che tipo di intervento occorre fare, quindi?

“Un provvedimento equilibrato, attento al territorio, è più che mai necessario. Affido le speranze che tutte le forze politiche si soffermino sulla reale situazione del comparto dell’urbanistica e dell’edilizia.

Inoltre, è necessario che la nuova legge che sostituirà il Testo Unico edilizia, oltre a dover prevedere un forte ‘disboscamento’ burocratico, metta sullo stesso piano il tecnico alle dipendenze dell’amministrazione comunale e il tecnico nominato dal privato cittadino, in quanto per legge entrambi hanno funzione di pubblici ufficiali nello svolgimento del proprio ruolo e, da tecnico e da cittadino, non capisco il motivo per cui alcuni procedimenti edilizi abbiano un riscontro diverso”.

Un altro problema è quello della poca omogeneità sul territorio, con procedure che cambiano anche da un comune all’altro. È così anche nel riminese?

“Qui si apre un altro capitolo.

Avviene anche in Emilia-Romagna.

Vi sono amministrazioni che, pur nel rispetto delle leggi regionali, hanno comportamenti diversi,meno cogenti del Comune capoluogo.

Questo mi risulta anche per province appartenenti alla medesima regione.

Tutto ciò con aggravio del cittadino che appartiene al territorio del comune di Rimini. Sorge spontanea una domanda: il compito della Regione non è di sovraintendere che i cittadini delle province e dei comuni applichino le norme in maniera uniforme per tutti i cittadini del territorio regionale, affinché abbiano lo stesso trattamento?

Occorre ‘spacchettare’ l’ordine delle problematiche che coinvolgono l’urbanistica/edilizia su più livelli, nazionale, regionale, comunale.

Nel riminese si procede, anche grazie al mondo delle professioni tecniche, che hanno avuto la brillante intuizione di formare la Rete Delle Professioni tecniche, comprendendo la necessità di fare squadra al fine di affrontare l’ordine dei problemi che coinvolgono l’edilizia. Sono anche al corrente che il Comune di Rimini ha istituito una commissione mista, ma la stessa non potrà basarsi su schemi di lavoro del passato, ma dovrà avere una nuova impostazione basata sulla parità dei tecnici del Comune e tecnici delle libere professioni.

Unico modo per dare più certezze al cittadino coinvolto nella ‘giungla’ dell’urbanistica.

a cura di Simone Santini