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Nella fragilità, testimoni dell’amore

Il terzo incontro del cammino quaresimale diocesano “… E di Me sarete testimoni”, che si è svolto lunedì 8 marzo nella chiesa di Sant’Agostino a Rimini, è stato arricchito dalla testimonianza di don Giorgio Mazzanti sul tema “Testimoni dell’amore nel tempo della fragilità dei legami”.

Identico eppure mutato
La riflessione di don Mazzanti inizia davanti al “sepolcro vuoto”:

“…in un grande silenzio. La risurrezione del Cristo è avvenuta tra la notte e l’alba, senza testimoni del suo passaggio, del suo avverarsi”: Solo davanti agli occhi di Dio come nella Creazione. Poi, come Maria di Magdala, Pietro, Giovanni, i discepoli di Emmaus…, Gesù appare come una presenza però non è immediatamente riconoscibile.
“Quelli a cui si presenta non lo identificano immediatamente; faticano a “metterlo a fuoco”. Ognuno di loro scorge il Cristo come una “sagoma” su cui “proietta i caratteri della situazione in cui si trova.
Muovendosi in un giardino, Maria Maddalena pensa di vedere un giardiniere (Gv 20,15). I discepoli di Emmaus lo ritengono un forestiero, uno dei tanti pellegrini saliti a Gerusalemme per le feste pasquali (Lc 24, 16-18). I discepoli, andati al lago per la pesca, credono che quel tale, che dalla spiaggia ha dato loro indicazioni per la pesca, sia uno dei tanti pescatori della zona (Gv 21,4).
Poi basta un tono di voce, un nome (Maria!), un cenno, un gesto (lo spezzare il pane) o anche un indizio (come l’abbondanza dei pesci presi nella rete) perché avvertano che quella sagoma è proprio il Cristo, il loro Signore”.

Un nome alla persona amata
Gesù, nella sua vita terrena, ha stabilito delle relazioni, innanzitutto con gli apostoli “perché stessero con Lui”, lo seguissero, ed essi hanno giocato il proprio destino in quell’amore che “mette nome” alla persona amata. Così è stato anche per Maria Maddalena: nel giorno della risurrezione quando “uscendo dalla tomba Cristo, come lo Sposo, va, prima di tutto, verso Maria Maddalena, la chiama per nome e in tal modo il Risorto la rende pienamente a se stessa. Solo così, si lascia “abbracciare” da lei, facendole tuttavia capire che, se Lui è già nella condizione definitiva, questa non è ancora giunta per lei; la Maddalena deve continuare a muoversi nel tempo mantenendosi tuttavia orientata a lui.

L’abbraccio del Risorto
E Gesù la manda dagli Apostoli perché
“l’abbraccio del Risorto è, dunque, simultaneamente anche accoglienza dei suoi fratelli ai quali e coi quali si deve tenere unita. La fede nel Cristo risorto, che porta all’unione intima/sponsale con Lui, implica l’amore a quanti credono in Lui e che Lui ha scelti e chiamati a sé. Pertanto l’annuncio del Cristo implica l’annuncio testimoniale dell’amore fraterno.
La Maddalena è l’immagine della Chiesa, la prima apostola (inviata) e nessun testimone del Risorto si concepisce così un isolato, un separato, ma sempre in comunione con Lui e coi suoi fratelli”.

Perdonati e mandati
Lo stesso comportamento, assunto con Maria Maddalena, Gesù lo evidenzia con Pietro.

“Dopo la Risurrezione il Cristo lo richiama per tre volte col suo primo nome “Simone di Giovanni”. Dopo il suo triplica rinnegamento gli offre il proprio perdono e con ciò lo rende di nuovo a se stesso, alla sua verità più profonda. Pietro si sa amato e perdonato dal suo Signore che lo re/immette nel gruppo degli “Undici”. Solo così facendo Cristo gli riaffida il suo gregge, non ritirando la promessa di radunare e costruire la sua Chiesa (Mt 16,18) sulla sua fede amante, sul suo amore credente. Cristo non si pente della sua scelta, non la ritratta, neppure dopo il rinnegamento del suo apostolo. Ogni apostolo è perdonato e inviato; ogni apostolo è “mandato” perché “mondato”dal Gesto del Signore Gesù. Cristo ha lavato i piedi di ognuno dei Dodici. Il suo gesto li ha uniti nel suo perdono ed essi si sanno perdonati”.

Senza amore non c’è fede
Continua, attraverso il perdono, la sequela a Cristo.
“Per quanti vi si avventurano, significa donazione di vita e amore vicendevole, possibile in un perdono reiterato, settanta volte sette, a partire da quello concesso dal Risorto, che donando lo Spirito dà un perdono che è dono di Pace e atto di nuova creazione.
Ciò dice che l’amore tra quanti credono in Cristo è un amore costitutivo, si costituiscono in persone. Dove non c’è tale amore, dato, accolto e ricambiato, non si dà fede vera, né persone autentiche.
Questo è quanto pensava e voleva il Cristo quando ha voluto la Chiesa.
La risurrezione del Cristo è l’affermazione di tale volto ecclesiale ed è “travaso” della vita Trinitaria nella vita umana ecclesiale.
Ciò congiunge fede e amore. Per il Cristo fede e amore sono partecipazione alla vita divina. Chi crede è già passato dalla morte alla vita. E anche: chi ama è già passato dalla morte alla vita.
Diviene impossibile una fede “privata” o una fede elitaria, coltivata in modo appartato dalle “belle anime” che si isolano nel loro mondo aristocratico”.

Corpo e tempo verso la trasfigurazione
Nasce così la Chiesa…
“Una realtà di chi condivide vita e destino giocati fino in fondo nella fede nel Cristo risorto.
Ciò implica una vita vissuta in pienezza dentro i propri corpi e dentro il proprio tempo. E corpi e tempo sono destinati alla trasfigurazione, a quel compimento che li avvera. Il corpo è costituito per la risurrezione (rivolto ad essa) e il tempo si svolge in direzione dell’eternità. Il cosmo e la storia partecipano a tale destino”.

Il destino dei cristiani
E quale destino attende i cristiani?
“Sono quelli che vivono a partire dal definitivo del Risorto; rigenerati dalla Sua risurrezione dai morti (1Pt 1, 3-5), fanno propria la vita del Cristo, fino alla morte, fino alla risurrezione. Essi non seguono nessuna ideologia più o meno utopica. Né cercano né forzano una loro immortalità terrena e ultraterrena. Essi si muovono dalla certezza della risurrezione dai morti di Cristo.
In fondo il credente in Cristo è un risorto.
Egli sa che non ha qui una stabile dimora perché cammina verso la Città futura (cfr. Eb 13, 13-14). Ciò non lo distoglie dall’impegno della terra e delle opere dei giorni: solo lo orienta verso ciò che vale, verso ciò che dura”.

“Segni” per il nostro tempo
Occorre seguire i “segni” per il nostro tempo.
“Un segno urgente e forte di risurrezione per il nostro tempo è quel tipo di vita comune/comunitaria che porta alla condivisione. Chi ha, fa partecipe chi non ha. Non è questione di ridursi in miseria, ma di mettere in comune quanto si ha. Questo vale per e tra i fratelli della fede. Ma questo è richiesto ai cristiani anche verso i non credenti e verso i tanti “umiliati e offesi” dalla storia e dalla società. Ognuno di essi, comunque sia la sua condizione, è barlume della presenza del Cristo, è “segno”, sia pure opaco, del Trafitto risorto”.

Francesco Perez