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Morire da risorti

LE STORIE. Vite ricominciate ben prima di chiudere gli occhi: Benedetto e Caterina

Non ho mai posseduto un «ferro» ”, un’arma, e se n’è sempre vantato. Però aveva i suoi attrezzi per scassinare. E li ha utilizzati per cinquant’anni, facendo avanti e indietro dalla galera. Gino, questo il nome d’arte che si era dato lui stesso per non farsi scoprire dalla polizia, era un ladro esperto nell’aprire casseforti. Poi è morto alla vita delinquenziale ed ha recuperato il nome di battesimo e una vita nuova. “ Gino è morto. Adesso chiamatemi Benedetto”, diceva. Adesso che è morto anche fisicamente, ha lasciato per tutti un altro pensiero spiazzante: “ Non piangete la mia morte, ma sorridete con me all’apertura delle porte per la mia terza vita”, è riportato nel suo breve ricordino funebre.

La terza vita di Benny non è cominciata dopo la sua morte, avvenuta la settimana scorsa. – ha ricordato il Vescovo Francesco Lambiasi nell’omelia del funerale – In effetti, quando Benedetto ha deciso di cambiare vita, ha voluto anche ritornare al suo vero nome”. “ Gino è morto. Adesso chiamatemi Benedetto”.

 Questo particolare – prosegue mons. Lambiasi – mi suggerisce di invitarvi ad assumere il compito di ‘esecutori testamentari’ di Benedetto, e cioè il compito di ricordare ai nostri fratelli di fede e a tutti ‘gli uomini di buona volontà’ che a risorgere s’impara, e s’impara già da questa vita.

Si, questo è il nostro compito di noi che ci professiamo cristiani: quello che si può riassumere in una breve espressione: morire da risorti”. Ma chi era Benedetto?

Scassinatore col nome di Gino, nel 2000 inizia un percorso, prima in Comunità Terapeutica poi in una Casa Famiglia della Papa Giovanni XXIII. Il 13 settembre 2007 un passo decisivo: da libero, viene accolto alla Casa Madre del Perdono, la realtà nella quale Giorgio Pieri intende sperimentare il metodo CEC, Comunità Educante con i Carcerati. Muore Gino, ri-nasce Benedetto. E diventa un punto di riferimento. “ Benedetto c’è stato ed è stata la figura che ha permesso lo sviluppo del progetto CEC nei suoi pilastri e nei suoi strumenti” assicura Giorgio Pieri, autore del libro Carcere – l’alternativa è possibile e coordinatore del progetto CEC dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXII, oggi presente in 10 realtà in Italia e due in Camerun.

La conversione di Benny non è stata indolore. La sua donna è morta d’overdose e lui si sentiva in colpa. Sua figlia non gli rispondeva al telefono e neppure alle lettere che puntualmente Benny scriveva ogni quindici giorni senza mai ricevere risposta. Alessia, la figlia, ad un certo punto ha ceduto. “ Mio padre mi faceva passare dalle stelle alle stalle”. Benedetto ha tanto amato la figlia e i nipoti Francesco e Mia. Si sono riabbracciati fino alla fine.

 Ogni tanto ricadeva ma più cadeva più si rialzava. – racconta Pieri – Si sentiva voluto bene, valorizzato e soprattutto Dio era con lui. Lo sentiva e pregavamo tanto insieme”.

Durante un colloquio con un ragazzo nella Casa Madre del Perdono è colpito da infarto. È il 2008. Da quel momento in poi paradossalmente non ha più smesso di darsi da fare e di darsi per gli altri. Decide di rimanere e spendere la vita per il progetto CEC. “ Mi dava consigli, – è ancora Pieri a ricordare l’amico – a volte con modi bruschi e con discussioni, ma poi alla fine mi diceva: Decidi tu che sei il responsabile”.

Nel corso della nuova vita parla davanti ai parlamentari europei, e poi tante testimonianze, in parrocchia, alla Rai, in varie tv, nelle scuole, a migliaia di gruppi giovani. Alla fine dei suoi giorni ha detto: “ Non ho più la voce, si vede che ho parlato troppo”.

Diventa membro della comunità Papa Giovanni XXIII con grande entusiasmo. Tutte le mattine va a messa dalle suore di San Savino. “ Non a caso ci hanno donato in uso il loro convento”

assicura Pieri. Mette a frutto le sue abilità. Apre con Giorgio il Laboratorio Zaccheo, nome che sceglie lui stesso: “ Ho rubato tanto e tanto devo restituire”.

Vende i formaggi del Perdono di San Facondino, portati in dono anche a Papa Francesco. Va in Albania ma lo aspetta un’altra missione: il CEC di Piasco (Cn).

A 71 anni Benedetto è andato e ha impiantato il metodo CEC, trovando una decina di volontari e facendosi voler bene. “ Quando ha cominciato a star male gli ho proposto di venire ad abitare al CEC di Montefiore. – parla Pieri – Non voleva venire, voleva stare in pace diceva. Amava guidare e lo ha fatto fino al giorno prima del ricovero. Non ha avuto il coraggio di dire della malattia alla figlia. Era un buono e preferiva soffrire in silenzio”. “ Io non conto un cacchio. – sono le ultime parole pronunziate dal letto d’ospedale – chi conta è Lui” guardando il crocifisso. “ Anche tu non conti un cacchio” apostrofa Pieri e riguarda il crocefisso. “ Chi conta è Lui, bisogna parlare con Lui”.