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Il contagio della speranza

Prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina, il dramma dei migranti… Qualcuno chiede: Dio cosa fa? Nella fede affermiamo: Dio prende la croce e si fa carico del male, di ogni male, a cominciare da quello del cuore, perché il maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione, zizzania… E allora tocca a ciascuno di noi prendere la nostra parte di sofferenza, di fatica, di smarrimento e viverla nel clima della Pasqua: il Signore è veramente risorto!

L’alleluia risuona nella Veglia di Pasqua, e come una fiamma nuova la Buona notizia si accende nella notte. Nel cuore di tanti uomini. Questo è l’augurio e la speranza. Allora i nostri cuori si rivolgono ai colpiti dalla guerra, agli orfani, a coloro che sono negli ospedali, a chi rischia la vita per la libertà, a chi vive una Pasqua di solitudine, fra lutti e disagi, in preda a sofferenze fisiche o problemi economici.

E davvero andrebbe gridato forte che non è tempo (e quando mai lo è?) di indifferenza, egoismo, divisione. Papa Francesco lo ripete continuamente: “ Attenti perché peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi”.

Non è più tempo di egoismi, perché queste sfide che stiamo attraversando e affrontando, ci accumunano tutti e non fanno differenza di persone. Non è tempo di divisioni e neppure di dimenticare i fratelli che maggiormente sono

nel bisogno.

Due anni fa in piena pandemia Papa Francesco invitava ad esporsi ad “ un altro contagio”, quello della Resurrezione, che “ si trasmette da cuore a cuore, perché ogni cuore umano attende questa Buona Notizia. È il contagio della speranza, «Cristo nostra speranza è risorto». Non si tratta di una formula magica che faccia svanire i problemi. È invece la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non ‘scavalca’ la sofferenza e la morte, ma le attraversa, aprendo la strada nell’abisso, trasformando il male in bene”.

Sono passati due anni, ma questo contagio auspicato fa davvero fatica a trovare un terreno fertile. Perché sembra che a vincere sia l’io e non il “noi”. Il problema nasce dall’illusione, alimentata dalla cultura attuale, dell’onnipotenza individuale causata e rafforzata dallo sganciamento dagli altri, dal rifiuto del “noi”, dal volersi pensare indipendenti da tutto e da tutti.

Cosa che non siamo!

Come cristiani, scriverebbe San Paolo, come uomini e donne nuovi, siamo chiamati a portare, nel nostro quotidiano, un contributo importante, per certi aspetti oggi unico e alternativo, quanto a speranza, specie nel rispetto dell’uomo, di ogni uomo, soprattutto dei piccoli e di chi non ha voce.

Perché sia per tutti Pasqua di liberazione e di vita.