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L’estate del nostro scontento

Questa volta, però, siamo di fronte alla prova più dura. Dal dopoguerra ad oggi il Turismo riminese ne ha affrontate di situazioni critiche! E le ha, bene o male, superate tutte senza perdere il suo prestigio – di capitale del Turismo – all’esterno e all’interno della città. Due, in passato, sono stati i momenti veramente difficili. Il primo si colloca alla fine degli anni Sessanta, quando quasi improvvisamente perdemmo gran parte dei nostri ospiti stranieri, in particolare quelli provenienti dal Nord Europa. Per quasi due decenni – gli anni ’50 e ’60 – la Riviera festeggiò, in quelle estati, la sua ascesa nell’Olimpo del Turismo Internazionale. A vendere, in Europa, le vacanze riminesi erano soprattutto i Tour Operator e le agenzie di viaggio di quei Paesi, che però rapidamente trovarono più conveniente offrire ai propri clienti soggiorni nelle nascenti aree turistiche, Spagna soprattutto (a partire dalle Baleari).

Ma la risposta, tutto sommato, non tardò ad arrivare. Rimini seppe reagire, cercando di far crescere una propria capacità di vendita. Si trattò di una straordinaria reazione, ovvero l’inizio di un nuovo ciclo basato sull’aggregazione (gli operatori fino ad allora si erano mossi in estrema autonomia): nel ’68 nasce Promozione Alberghiera – la prima cooperativa di questo tipo in Italia – e la Fiera inaugurò i suoi primi padiglioni… Poi la Cooptur nel ’74, in clima da ‘guerra fredda’, lanciò la cooperazione soprattutto fra i piccoli alberghi. Sul versante pubblico, da lì a poco, decollò l’aggregazione fra gli enti turistici (la cosiddetta ‘Propaganda e Promozione Collettiva’), favorita dall’avvento della Regione, nel 1970.

Quella volta si rischiò di brutto

L’altro momento difficile, difficilissimo, porta la data del 1989: in quell’estate le mucillagini ricoprirono il mare… “che sembrava morto”. A quel punto il futuro apparve veramente incerto: non si poteva escludere un declino definitivo del nostro sistema, che già precedentemente aveva subìto una inesauribile e continua perdita di mercato. E invece, anche quella volta, ci fu una consistente reazione: da una parte gli interventi ambientali, dall’altra una ulteriore crescita della specializzazione turistica, che puntava ai ‘100 turismi’, alle cento forme di vacanza, lungo tutto l’arco dell’anno; si favorì la nascita e lo sviluppo di numerosi club di prodotto, degli hotel grouping, si puntò al potenziamento del turismo congressuale e fieristico, di quello legato agli eventi, allo sport.  Fu, quindi, posto un argine al pericolo di un crollo definitivo.

Ma ora i problemi sono strutturali

Negli anni successivi continuarono a sedimentarsi, decennio dopo decennio, problemi che potremmo definire strutturali:

– Rimini non riuscirà più a conquistare quelle quote di mercato estero registrate nei lontani anni ’60, perdendo alla fine, a causa della guerra, anche quella clientela proveniente dall’Est Europa (dalla Russia, soprattutto) che si era imposta ultimamente per più di un ventennio;

– la continua e progressiva chiusura di centinaia di alberghi (dai 1640 del 1976 ad un numero, quello attuale, che scende sotto i 1000, solo nel comune di Rimini);

– il fallimento di tutti i tentativi di salvare le Colonie abbandonate, finite da tempo nel degrado (come tanti hotel…);

– gli scarsi, o inesistenti, investimenti, che dall’esterno avrebbero potuto sospingere in avanti la nostra economia turistica;

– gli enti turistici pubblici che non riescono a trovare una fisionomia durevole, venendo ristrutturati in continuazione…

Il vero ‘male oscuro’

Ma se presi alle strette dovessimo indicare la causa principale di questo declino, il vero male oscuro della situazione, non ci dovrebbero essere dubbi: lo si potrebbe individuare e spiegare attraverso la descrizione di una tipica realtà alberghiera, all’interno della grande fascia che comprende alberghi a tre, due ed una stella (più del 90% del nostro sistema ricettivo). Proviamo ad immaginarla.

Marito e moglie gestiscono un hotel – aperto solo d’estate – dalle parti di Marebello, Rivazzura o Miramare. Hanno dai sessanta ai settant’anni. L’albergo è di loro proprietà, costruito con grandi sacrifici dai genitori (di lui o di lei). La moglie ha sempre lavorato in cucina, ma ora non ne può più. Le cose non vanno bene come una volta: è sempre più difficile trovare clienti, è sempre più complicato trovare il personale. Lui d’inverno ha sempre fatto qualche viaggio in Europa, per incontrare agenzie di viaggio o associazioni, ma i risultati si assottigliano progressivamente. Non rimane che sperare, in buona parte, nelle prenotazioni che giungono da Booking.com.
Cosa fare a questo punto? Marito e moglie ne discutono continuamente: “Il prossimo anno chiudiamo la cucina e abbandoniamo la formula della pensione completa? Ma non sarà un salto nel vuoto? Perderemo sicuramente una quota dei nostri clienti e dei gruppi di bassa stagione… E se dal prossimo anno affittassimo l’albergo?”.

Sullo sfondo delle problematiche che impegnano i due coniugi c’è anche lo spettro della chiusura o il tentativo difficilissimo di trovare un acquirente.

Qualcuno dall’esterno, un pochino sprovveduto, potrebbe a questo punto chiedersi: ma perché non affidano la struttura ai figli, alla loro gestione…

C’è di fatto che i figli – mediamente – sono due, laureati o diplomati, che presentano quasi sempre la stessa caratteristica: non hanno mai messo piede nell’albergo! Né intendono farlo in futuro.

Ovviamente, e fortunatamente, le cose non vanno sempre così: ma è indubbio che il vero ‘male oscuro’ della nostra industria delle vacanze è la mancanza, nelle sue imprese ricettive, di un diffuso ricambio generazionale, un ricambio che permetterebbe e favorirebbe – tra l’altro – un approccio completo alla rivoluzione dei nostri tempi: la rivoluzione digitale!

Quindi, il futuro del nostro Turismo risiede, paradossalmente, nelle intenzioni e nella visione generale dei ‘due coniugi’: cosa vorranno fare del loro albergo, attualmente soggetto – sul piano urbanistico – ad un vincolo di destinazione? Si batteranno per eliminare questo vincolo alberghiero?  Così da poter vendere più facilmente la loro struttura, con un ricavo decisamente superiore? Oppure continueranno a gestirlo nella speranza… che la chiusura di altri 200 alberghi concorrenti offra un po’ di respiro?

“Riminesi vista mare”

Se prevalesse una certa ‘liberalizzazione selvaggia’, pure nella fascia a mare della ferrovia, avremmo al posto di tanti hotel tanti condomini, tanti appartamenti, in una sorta di periferia di lusso, abitata soprattutto da concittadini che, onestamente, potrebbero trovare dimora in altre aree, a monte della linea ferroviaria (soprattutto laddove questa barriera passa vicino al mare). Detto così sembra tutto semplice e ragionevole. In realtà è qualcosa di maledettamente complesso, dove dentro c’è di tutto: da interessi economici pesantissimi alla nostra scarsa lungimiranza, da una visione politica e ideologica sotto sotto molto ancorata al passato ad una frammentazione delle forze che credono nel Turismo, ad una prospettiva – se non interviene una vera svolta – di scarsi investimenti nel settore…

La vera svolta dovrebbe andare sotto il nome di ‘rivoluzione urbanistica’, per consentire con relativa facilità la trasformazione delle strutture abbandonate, o in via di abbandono, in qualcosa di funzionale all’apparato turistico: in centri benessere, in strutture per la ristorazione collettiva, in aree verdi ed attrezzate, in silos multipiano, in foresterie per lavoratori stagionali, studenti, personale sanitario, ma soprattutto adottando la soluzione per la quale l’albergatore cedendo l’immobile – all’Amministrazione pubblica – riceve in cambio volumetrie residenziali in altre zone della città o la possibilità di aggiungere volumetrie in verticale ad altro albergo, oltre a favorire il sorgere di grandi e moderni alberghi grazie al recupero degli spazi occupati dalle strutture abbandonate, con la politica degli accorpamenti.  Una ‘rivoluzione’ che, però, diventerà realtà soltanto se è preceduta e seguita da una vera svolta politica, alla cui testa si deve porre l’Amministrazione comunale: non basta redigere un nuovo piano urbanistico generale (naturalmente indispensabile), è essenziale mettersi alla ricerca di investitori esterni ed interni, rendere attraenti questi investimenti. Disponibili, quindi, ad una vera ‘rivoluzione’ urbanistica e burocratica.  Il contrario di quello che comunemente viene descritto come ‘mettere il bastone tra le ruote’… Il contrario di quello che avvenne agli inizi degli anni ’90 – tanto per fare un solo esempio – quando i riminesi della Valdadige, assieme ad altri imprenditori locali, erano in procinto di salvare la colonia Murri, trasformandola in un grande polo di attrazione (un Festival Center)…  allora ogni tipo di ostruzionismo si abbatté sull’iniziativa, annullandola, con il risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti!

Ma le cose stanno cambiando, se pur lentamente. Bastava leggere l’intervista rilasciata dall’assessore regionale al Turismo, Andrea Corsini, a Il Resto del Carlino durante l’ultimo Ferragosto: “… Abbiamo una storia di gestioni famigliari e va bene: ben venga chi vuole ammodernarsi. Ma se qualcuno non ce la fa, sono pronti tanti grandi gruppi che vorrebbero investire da noi. Favoriamo questi investitori. Per essere competitivi a livello internazionale e per i tour operator servono strutture da 80 camere in su…”.  Qualcuno, scherzando e facendo leva su di una ideologia sempre nell’ombra, rifacendosi ai buoni propositi dell’intervista, ha commentato così:

“Vedi, siamo passati un po’ alla volta da adda venì Baffone! A… adda venì Briatore!”

Naturalmente saranno poi i fatti a dimostrare se le indispensabili autocritiche (che tutti dobbiamo fare) sono qualcosa di sincero.

Senza una ricerca seria di investimenti e investitori finirebbero per aver ragione coloro che sostengono che non c’è da illudersi: l’unica soluzione per gli alberghi chiusi – per sottrarli ad un ulteriore degrado – realisticamente è quella di permettere di trasformarli in tanti appartamenti.

Mettendo insieme le forze che credono nel Turismo
Ma quali potrebbero essere le scelte di fondo da condividere tutti assieme? Proviamo ad indicarne alcune:

– tornare a credere nella vocazione storica di questa città, che non deve essere tradita, dispersa o annacquata, e su di essa costruire e progettare il futuro, salvando innanzitutto il patrimonio alberghiero con scelte coraggiose;

– puntare decisamente sulla Formazione (dall’Università in giù) che, integrandosi con il nostro tessuto economico, deve costituire il motore per l’affermazione di una cultura dell’ospitalità e per il rilancio di quelle motivazioni, soprattutto imprenditoriali, ora incerte;

– mettere in campo un impegno aperto e coraggioso, a sostegno dell’accoglienza e dell’ospitalità;

–  favorire la gestione partecipata delle imprese e la nascita di cooperative per la gestione di strutture turistiche (nessuno, ad esempio, ha mai promosso cooperative, o società, di giovani aspiranti imprenditori nel settore alberghiero);

– pretendere la “verità” sull’andamento della stagione (ormai tutti considerano ridicole le valutazioni ufficiali);

– creare un’associazione che possa riunire, al di là dell’appartenenza politica o di categoria, chi crede nell’impegno a favore del Turismo; di un buon strumento di pressione, e di riflessione, ce ne sarebbe bisogno!

La Città degli Incontri

Ai giovani, infine, bisognerebbe dire che è importante non vergognarsi di sognare… individuando nel nostro Turismo l’occasione straordinaria per costruire non solo una grande economia ma anche una grande politica… Vi sembra esagerato? Credete che il turismo, come il nostro, che prevede milioni di partecipanti (in attesa anche di riconquistare ospiti da tutto il mondo), che si configura come un’arena grandiosa di incontri personali e collettivi, non possa offrire il suo contributo – neppure tanto modesto – alla crescita della pace, degli organismi sovranazionali, della comprensione, della libertà, della solidarietà, della salvaguardia dell’ambiente e delle varie culture? E’ possibile se lo si vuole chiaramente e lucidamente. O credete che ci siano molte cose più importanti da fare?

Magari molti non lo ricordano, ma Kissinger e Gorbaciov passeggiavano e discutevano a Marina centro, tra il Grand Hotel e il Teatro Novelli.

Giuliano Ghirardelli