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Le imprese di Madre Luisa

Quando racconto a qualcuno che sto organizzando il mio quattordicesimo viaggio in Bangladesh, colgo nel mio interlocutore un’espressione tra lo sconcertato e lo stupito. Le domande che seguono sono di solito due: “dove si trova questo Paese?” e “cosa ci vai a fare?”.
Anch’io, quando mi si offrì per la prima volta l’occasione di un viaggio missionario in Bangladesh, andai subito a cercare l’ubicazione di quel Paese e capii che mi era sconosciuto perché fino al 1971 si chiamava diversamente: Pakistan Orientale. Una sanguinosa guerra portò il Paese ad acquistare con l’indipendenza una propria identità nazionale, ribadendo con orgoglio il primato anche della propria lingua: ogni anno scolaresche intere festeggiano la ricorrenza con spettacoli e canti in “bengoli”, sfilate festose e fiori sparsi per le strade.
Fu nel primo viaggio che conobbi l’Opera Missionaria delle Maestre Pie e la fucina di continue iniziative: Madre Luisa Falsetti, oggi 83enne ma con la vivacità di una ventenne e l’amore incondizionato per questo popolo ancora afflitto da tanta povertà. E questa ricade pesantemente specie sui bambini e sulle donne, ancor più se appartenenti a gruppi tribali, come nella zona della nuova Missione di Rajshahi.

60 anni di vita religiosa
Madre Luisa in queste settimane è a Rimini per festeggiare un grande anniversario: 60 anni di vita religiosa! Sono sessant’anni di servizio sempre gioioso, attivo ed intelligente, pur nella fatica, innanzitutto alla Chiesa sotto la protezione della Madonna Addolorata, di cui le Maestre Pie portano il nome, poi di servizio alla Scuola, in cui fu insegnante apprezzata ed amata, infine di dedizione alla sua Famiglia religiosa di cui fu Madre Generale dal 1981 al 1993. Furono 12 anni di piccoli e grandi rinnovamenti per l’Istituto e di apertura a nuovi orizzonti e a nuovi impegni missionari in Brasile, Zimbabwe e Bangladesh. E proprio in questo Paese, alla fine del mandato generalizio, si stabilì 20 anni fa diventando punto di riferimento per chi voleva conoscere e collaborare alle tante e continue iniziative che via via si stavano creando: scuola e sostegno allo studio per i bambini degli slum, scuola di ricamo e cucito per donne e ragazze, attenzione ai bisogni infiniti dei poveri in collaborazione intensa con le altre realtà missionarie intessendo relazioni anche con le Istituzioni.

Opere di Vangelo
La costruzione a Dhaka della “Elisabetta Renzi House of formation” per accogliere le prime Aspiranti alla vita religiosa e le prime attività con i bambini; il “Carlotta Centre” costruito con il contributo e la partecipazione intensa della famiglia Ugolini, in ricordo della loro figlioletta prematuramente e tragicamente scomparsa, per sede di tante attività formative per bambini, ragazzi e ragazze, e oggi anche vera scuola per i bambini degli Slum; la nuova Missione nel nord, a Rhajshahi sono le “imprese” che Madre Luisa ha saputo realizzare e rendere attive in questi 25 anni dall’inizio della Missione.

La strage di Savar
In questo periodo tutti abbiamo conosciuto il Bangladesh, venuto alla ribalta della cronaca non solo per i cicloni e le inondazioni ricorrenti ma per i crolli catastrofici di edifici mal costruiti in cui hanno trovato la morte migliaia di operai impiegati in fabbriche di confezioni prodotte per l’Europa. Si stima che in Bangladesh siano più di 5000 le fabbriche tessili e di vestiario, in gran parte ubicate nella capitale, Dhaka, che se da un lato danno lavoro a moltissima gente dall’altra operano fuori da ogni controllo. Conosco bene Savar, il quartiere periferico di Dhaka, una volta abitato da indù colti ed artisti di cui rimangono tracce nei fregi e nelle ceramiche delle pareti di tempietti e di case oggi fatiscenti. Ricordo bene la sera in cui, tornando da Mymensingh, proprio a Savar ci imbattemmo nel cambio di turno di migliaia di operai delle fabbriche del luogo. Il traffico caotico di bus, biciclette, risciò, carretti e pedoni ci bloccò per ore. Ricordo bene i visi stanchi di chi aveva terminato il lungo turno diurno e quelli tesi, nel timore di tardare (che voleva dire ricevere sanzioni pesanti) di chi iniziava il turno notturno e si portava un involtino con un po’ di cibo e di acqua. Tutti giovani, uomini e donne. E ora penso ai millecinquecento morti (ma le cifre non ufficiali parlano di più del doppio) travolti nel crollo di un edificio straripante di macchinari, di stoffe e di tanti giovani che speravano di ottenere una vita più dignitosa attraverso il lavoro finalmente trovato. Altro dolore, altra povertà, altra ingiustizia per chi non ha voce per farsi rispettare.
Un dolore che Madre Luisa esprime e racconta e che la sprona a voler tornare presto in Bangladesh per continuare nel suo impegno con le donne e con i bambini e per continuare a comunicare alle ormai numerose giovani Suore e Postulanti bengalesi della sua Comunità l’importanza di spendersi perché i bambini di oggi diventino uomini e donne capaci di costruire domani un Paese più giusto e più bello.

Silvia Tagliavini