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La storia lungo i binari

a qualche tempo c’è un gran parlare di trenini locali come alternativa a strade e superstrade; lo fanno giornalisti, storici locali, tecnici, politici. La Provincia ha un progetto, o almeno una possibile alternativa alla congestione stradale: la strada ferrata Rimini-San Marino, dismessa con la guerra. L’ha annunciato qualche settimana fa il Dirigente alla mobilità precisando però che per farlo servono soldi, tanti, visto che si parla di 25-40 milioni di euro!

Trenini
possibili Il tracciato Rimini-San Marino potrebbe avvalersi di alcuni terreni ancora liberi, ad esempio quelli accanto alla sede dell’Ausl fino alla strada per Montescudo; poi in parallelo alla superstrada si scorgono tracce dell’antico percorso, in particolare nel tratto corianese dove, seppure trascurato, è ancora in piedi l’edificio che ospitava la stazione di Cerasolo Ausa-Coriano.
L’altra linea minore, oggi soppressa, era quella che da Santarcangelo collegava Novafeltria (che al tempo del trenino, soppresso nel 1960, si chiamava Mercatino Marecchia).
In un altro caso si potrebbe realizzare un antico progetto, la linea di fondovalle del Conca che da Cattolica, lungo il lato destro del fiume libero da intralci, porti a San Giovanni e Morciano. Oggi queste sembrano proposte curiose ma non è sempre stato così, anzi, c’è stato un tempo nel quale si è tanto discusso di trasporti sui binari.

I collegamenti
dopo l’Unità
Tra le tante necessità che 150 anni fa emersero, alla nascita del nuovo stato con l’Unità d’Italia, c’era quella di omogeneizzare i diversi territori, non solo dal punto di vista politico e legislativo, o della moneta; andavano, infatti, anche collegati tra loro mediante moderne reti di comunicazioni in grado di superare le antiche barriere costituite dai confini tra i precedenti piccoli stati autonomi e di velocizzare gli spostamenti, dell’esercito in un primo momento, ma poi anche delle merci e delle persone.
Nel caso dello Stato della Chiesa serviva una rete stradale più funzionale ai nuovi tempi, in particolare per le secondarie assolutamente trascurate, e potenziare i trasporti per ampliare i collegamenti interni tra le sue Province, anzi tra le Legazioni come si chiamavano le circoscrizioni amministrative pontificie. Bisogna infatti considerare che tra le due Legazioni di Forlì e di Urbino ci si spostava con estrema difficoltà lungo strade strette e disagevoli, servite da ponti precari per attraversare Conca e Marecchia, perfino là dove una qualche forma di rete viaria esisteva da tempo. Immaginiamo cosa significasse viaggiare nella parte intermedia della linea di confine, tra la litoranea e la strada di fondovalle marecchiese: bisognava inerpicarsi per vie strette e disagevoli, poco più che sentieri dalla praticabilità esposta alle intemperie e ai guai per frane.
Eravamo negli ultimi decenni dell’Ottocento, il periodo nel quale il più avveniristico mezzo di trasporto era il treno e su di esso si pensò di puntare per rendere efficienti i collegamenti tra Romagna e Marche. Si avviarono campagne di promozione per dotare il nostro territorio di strade ferrate, con lanci di proposte e studi di massima un po’ ovunque, con comitati pro o contro che chiedevano soldi: si combattevano l’un l’altro a suon di perizie e petizioni per sostenere i differenti progetti.
Le più disparate richieste erano avanzate al governo e al parlamento nazionale, supportate da studi di ogni tipo, sulle fattibilità tecniche come sulla opportunità economica e di sviluppo dei diversi comuni coinvolti.

Da Rimini
verso le Marche La stessa proposta di un collegamento ferroviario tra la pianura riminese ed il Montefeltro urbinate, di cui parliamo a parte, puntava sulla promozione dei commerci e dell’industrializzazione delle zone interessate, alimentando le diatribe sui tracciati da scegliere: al servizio della media-bassa Valconca oppure a quello dell’area Carpegna e alte vallate. In questa logica rientravano alcune proposte avanzate da vari soggetti, sempre a cavallo tra XIX e XX secolo, per realizzare una ferrovia che collegasse Cattolica con Morciano e il resto della Valconca romagnola, con un evidente nesso al possibile percorso “basso” della ricordata Santarcangelo-Urbino. Una infrastruttura che non andò mai oltre l’ambito delle idee nate e morte nei comitati locali, ma che dimostra appunto quanto fervore progettuale prendesse municipi e politici di questa zona.
I costi, enormi per costruire una ferrovia con ponti, gallerie (tante in una zona a forte instabilità geologica), stazioni, intersezioni con le strade, scambi e collegamenti con altre reti, lievitavano man mano che passava il tempo e che si decidevano tracciati. Nel frattempo il mondo, anche quello dei mezzi di trasporto, si evolveva ed arrivarono i motori a scoppio, cioè le automobili e le corriere. Così tornò d’attualità la questione delle strade, per soddisfare le nuove necessità e perché in fondo costava meno ampliare le vie esistenti piuttosto che costruire ex novo una strada ferrata su fiumi e sotto successioni di colline. Fin dai primi anni del Novecento si tornarono a proporre progetti di massima e programmare ampliamenti viari per i collegamenti tra le città ed i centri a maggiore interesse produttivo o di commercio.

Una grande
linea ferrata
Non che le ferrovie fossero abbandonate, anzi, ma accanto e partendo dalle più grandi linee ferrate (e a quelle minori già in fase di realizzazione come la Rimini-San Marino e la Santarcangelo-Mercatino Marecchia) si cominciò a puntare su sistemi integrati tra reti. L’esempio più evidente nell’area sud del riminese fu l’ampliamento delle strade intercomunali per favorire il collegamento dei comuni della Valconca con il porto e la stazione di Cattolica, un’opera pubblica considerata talmente importante da renderla obbligatoria agli enti locali e sostenuta da ingenti finanziamenti statali e provinciali rallentati però dalla Grande Guerra. L’infrastruttura, avviata a inizio secolo ma terminata solo nei primi anni Venti, impegnò fortemente i bilanci dei piccoli municipi della vallata, alle prese con la loro prima vera opera pubblica sovra comunale che doveva collegarne i capoluoghi, facendo perno su una potenziata strada di fondovalle al servizio dei mercati di un sempre più florido Morciano. Il sistema prevedeva il potenziamento delle linee di posta pubblica, con pullman di linea rimasti sostanzialmente immutati per seguire le aste fluviali del Conca come del Marecchia e con le intersezioni delle direttrici costa entroterra: a nord verso Poggio Berni e Torriana, a sud con la Rimini-Montescudo-Mercatino Conca, la Coriano-Croce di Monte Colombo-Morciano-Mondaino (la “mitica” SAPUM) e la Riccione-Morciano che si avvaleva di una strada interprovinciale (la Riccione-Tavoleto) costruita sempre all’inizio del Novecento per utilizzare il ponte di Morciano, eretto negli anni Settanta dell’Ottocento e diventato subito lo snodo viario più importante dell’intera vallata interna. Cosa peraltro (e purtroppo) ancora immutata! Ed oggi? A distanza di 150 anni dall’Unità d’Italia pare tornino utili le linee minori dismesse e i vecchi progetti di costruzioni di ferrovie lungo le vallate interne. Potrebbero decongestionare il pesante traffico su gomma, sarebbero ecologicamente validi ed un’attrattiva turistica. E poi (cosa non del tutto secondaria) posare binari, acquistare treni e gestirli potrebbe costare meno rispetto la costruzione e la manutenzione di sempre più grandi arterie viarie.

La ferrovia
da Santarcangelo
a Urbino
Per qualche tempo sembrò possibile che il territorio comunale di Coriano potesse essere attraversato da una linea ferroviaria che unisse Urbino a Santarcangelo; l’ipotesi è oggetto di una ricerca storica di Gianluca Calbucci, pubblicata all’inizio del 2004 sul giornalino di questo comune, che ricostruisce le vicende del progetto dell’ingegnere Emilio Olivieri, (già presentato nel 1880), di un tratto ferroviario inserito nel collegamento tra la parte est della pianura Padana e Roma, da poco diventata la nuova capitale d’Italia. La linea prevedeva un “tracciato basso” con l’arrivo nella Valconca mediante una galleria che sfociava tra Gemmano e Sassofeltrio, l’attraversamento sempre in galleria del colle di Montescudo per sbucare nella vallata del Marano, la stazione ad Ospedaletto e quindi la prosecuzione per l’Ausa, il superamento di Sant’Aquilina e, con altre gallerie, l’arrivo al Marecchia ed oltre. Questo percorso però non piaceva ai comuni dell’alto Montefeltro che preferivano un “tracciato alto” che da Urbino passasse a Macerata Feltria per proseguire, sempre con gallerie e viadotti, fino a San Leo e Verucchio prima di attraversare il fiume per collegarsi al nodo ferroviario di Santarcangelo: un percorso questo che avrebbe tagliato fuori del tutto la Valconca romagnola e Coriano. Ne seguirono polemiche a non finire, scontri politici a livello locale e nazionale che rallentarono fino al 1894 la decisione, presa in quell’anno realizzando un compromesso: la linea doveva passare lungo un tracciato “medio”, cioè scendere al Foglia a Casinina quindi arrivare in galleria al Conca nei pressi di Montegrimano per poi proseguire per San Leo unendosi al tracciato alto. A partire dal 1909 vennero posizionati alcuni tratti di binari (fino San Leo e a sud fino a Cà Gallo, dove sul fiume Foglia sono ancora visibili i ponti con i segni dei bombardamenti subìti nel 1944) ma poi, gli alti costi e le difficoltà geologiche, fecero abbandonare definitivamente il progetto nel 1933. Erede della volontà di collegamento di Urbino verso nord, sarebbe dovuta essere la strada diretta per Mercatino Conca che però è rimasta quasi solo sui cartelli stradali.

Maurizio Casadei