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La sala parto non chiude mai

I bambini continuano a nascere perchè la vita non si arrende. Più forte di qualsiasi virus.

Un’esperienza che è già “capitata” a 290 bimbi, all’ospedale di Rimini. Il primo caso di Covid-19 in provincia si è verificato il 25 febbraio. Da allora fino a lunedì 6 aprile, nell’ostetricia dell’“Infermi” hanno visto la luce 290 bambini, di cui 150 femminucce e 140 maschietti. È il “frutto” di 284 parti, di cui 4 bigemini e 1 trigemino. I cesarei sono stati 55 (pari al 19%). Stanno tutti bene, nessuno è positivo e non vi è ancora stato un parto da madre covid positiva.

Cos’è cambiato rispetto a “come” si nasceva prima di quel fatidico martedì mattina?

“Diciamo che la prevalenza di donne in gravidanza affette da Coronavirus si è mantenuta relativamente bassa rispetto ad altre categorie a maggiore rischio, pertanto la nostra disciplina è stata meno colpita di altre, e al momento stiamo continuando a lavorare a pieno regime in un percorso garantito in tutte le sue fasi. Certamente tante cose sono cambiate – racconta il direttore dell’unità operativa di Ostetricia e Ginecologia di Rimini, dottor Federico Spelzini : abbiamo adottato dei protocolli che ci consentono di lavorare e di far accedere in sicurezza alla struttura le signore che devono fare visite e controlli”.

Dottore, ci descriva cosa avete fatto.

“Iniziamo dalla parte strutturale. Abbiamo identificato tre sale parto, una sala operatoria e tre stanze di degenza per eventuali pazienti affette da Covid, situazione che, ripeto, al momento non si è verificata. Siamo però pronti ad affrontare anche questa eventualità”.

E per quanto riguarda le modalità con cui vengono rese le prestazioni?

“Ci siamo predisposti in due direzioni di fondo: limitare al massimo le persone che accedono e cercare di verificare le loro condizioni prima dell’accesso. Quando diamo gli appuntamenti per le pazienti che devono venire a fare visite, specifichiamo che l’accesso in ospedale è consentito solo alle dirette interssate. Eventuali accompagnatori arrivano fino alla porta dell’ospedale ma poi restano fuori. Inoltre quando chiamiamo le signore svolgiamo con loro una verifica epidemiologica chiedendo come stanno e verificando i loro sintomi. Se abbiamo un sospetto invitiamo la donna a rivolgersi al proprio medico per una valutazione più approfondita poi ci risentiamo. Il Consultorio ci segnala poi eventuali casi di donne con famigliari in quarantena e per loro organizziamo dei trasporti protetti in ambulanza nel caso in cui si rendesse necessaria una visita ambulatoriale”.

E al momento del parto? Il papà poteva assistere al momento del travaglio. Oggi?

“Prima dell’insorgere dell’infezione da Covid-19 consentivamo alla paziente di stare in compagnia dei propri cari e di avere un accompagnatore per tutto il periodo del travaglio in sala parto. Adesso ci limitiamo a consentire un solo accompagnatore, che di solito è il padre del nascituro, solo nel momento del parto e ovviamente dopo una indagine epidemiologica e con tutte le protezioni del caso. Abbiamo inoltre vietato l’accesso dei parenti al nido. Questa è stata una misura dura da prendere, per i nonni e gli altri parenti che non possono vedere il bimbo. Dura, ma necessaria in questo momento”.

Come vi comportate con le donne ricoverate?

“Naturalmente c’è la massima attenzione a qualsiasi sintomo compatibile con l’infezione da Coronavirus, a partire dalla febbre. Va considerato che avere qualche linea di febbre è un sintomo abbastanza comune nell’evento parto, adottiamo comunque tutti i protocolli di sicurezza: spostiamo la paziente in una camera ad hoc e gli operatori adottano tutte le misure previste”.

E gli operatori, come stanno vivendo questo periodo così diverso?

“Naturalmente c’è molta prudenza, e credo sia naturale che vi sia un po’ di ansia. Questi protocolli dilatano tutti i tempi, per cui anche noi stiamo lavorando tanto, però siamo molto uniti. E non solo tra di noi. In aiuto ai colleghi in prima linea nei reparti Covid, ci prestiamo anche a fare guardie, aiutiamo a tenere i contatti coi parenti dei ricoverati… Insomma ognuno cerca di fare la sua parte”.

Torniamo a mamme e bebè: come funziona ora con l’allattamento?

“Non vi sono evidenze scientifiche che dicono che il virus si trasmetta col latte della madre. In situazioni nelle quali invece la madre è sintomatica viene predisposto l’impiego di tiralatte”.

C’è qualche episodio particolare?

“Notiamo un po’ di tristezza quando la donna deve entrare in ospedale, per una visita o perché il momento del parto si avvicina e il suo compagno non può seguirla, ma tutte capiscono che è indispensabile, e per il bene loro e di tutti. Vorrei ringraziare tutti i colleghi e collaboratori, le ostetriche e il personale Infermieristico dell’Unità Operativa che sin dall’inizio di questa esperienza stanno lavorando con estrema dedizione e competenza, andando ben oltre quello che è a loro richiesto”.