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La pena utile

La Caritas di Riccione non è solo un luogo di accoglienza per i poveri. È anche un luogo dove si possono svolgere lavori socialmente utili, per chi ha commesso il reato segnalato dall’art. 186 del Codice della strada “Guida sotto l’influenza dell’alcool”. Il tutto è iniziato alla fine del 2011, grazie ad un accordo tra la Caritas di Riccione, rappresentata dal suo presidente Giorgio Galavotti e il presidente del Tribunale di Rimini, Rossella Talia.
Il reo in questione contatta la Caritas mediante il suo legale, firma una dichiarazione di consenso e patteggia con il P.M. e/o G.P. per scontare la pena facendo lavori socialmente utili presso la Caritas medesima. Inoltre, come spiega Giorgio Gallavotti, ci sono casi in cui la pena viene convertita in svolgimento di lavori socialmente utili in sede di processo, davanti al giudice. Insomma la richiesta deve partire dal reo. Un atto di grande responsabilità. Una volta sentenziata la modalità di sconto della pena, si entra alla Caritas e si svolgono con costanza e dedizione i vari servizi: dal servire alla mensa, alle pulizie dei luoghi di accoglienza, dalla distribuzione di indumenti, insomma tutto quello che fanno di consuetudine i volontari della Caritas. Una modalità certamente alternativa per scontare la pena, che permette anche l’estinzione del reato. Per dirla in altre parole, non c’è pericolo che la fedina penale si sporchi. Un risvolto giuridico più che positivo. Ma il guadagno più grande è quello di una crescita personale, che porta il reo a divenire responsabile, davanti a sé e agli altri. La fauna che compie lavori socialmente utili è variegata: c’è l’etilista, ma c’è anche gente “per bene” incappata nell’etilometro per sbaglio.
I lavori socialmente utili sono certamente una via d’uscita per questa persona, ma sono anche una risorsa effettiva per la Caritas di Riccione, come conferma il Presidente. Chi si dedica ai lavori sociali si mette subito a disposizione, facendo quello che c’è da fare, senza tirarsi indietro. Ci sono anche tanti giovani. “Sono convinto – dichiara Gallavotti – che a questi giovani abbia fatto molto bene lavorare per persone bisognose. Si sono accorti come va il mondo, soprattutto per chi è in condizioni di povertà”. Inoltre il rapporto con la Caritas non finisce con l’estinzione della pena. C’è chi, infatti, continua a rimanere in contatto con gli operatori della Caritas, o attraverso una telefonata, o attraverso un semplice saluto, oppure rendendosi utile ancora “con le proprie mani”, venendo regolarmente una volta alla settimana, anche solo per svuotare i cassonetti. È un insieme di storie e volti che pur essendo incappati in errore, guadagnano in crescita umana e personale. Veramente, la speranza è sempre l’ultima a morire.

Sara Castellani