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La misura delle cose

Appunti fuori dalla cronaca fresca, impedita dai tempi di consegna in redazione. Non so nulla dell’esito elettorale, conosco soltanto le previsioni del tempo che minacciano neve con lo spauracchio dell’assenteismo anche dei bene intenzionati al voto. Per la prima volta nell’Italia repubblicana (ignoro i dati di quella monarchica), siamo stati chiamati alle urne nel periodo meteorologico peggiore dell’anno. Il calendario astronomico ha avuto sempre le sue esigenze, come per le scuole. Dove una volta i giorni delle lezioni al Sud erano ristretti dall’agricoltura, e qui da noi al Nord rivierasco dall’industria balneare.
Persino gli orari quotidiani delle lezioni erano condizionati non dalle decisioni politiche governative ma da quelle pratiche dei trasporti urbani. Ignoro il presente, mi risulta soltanto che tutti ce l’hanno con i prof. Ricordo personale: quand’ero giovane c’era il mito dei docenti anziani, quando sono diventato tale io, le mamme idolatravano quelli giovani, per cui sono sempre stato fuori mercato.
Qualcosa di simile è accaduto alla politica. Ne abbiamo viste di cotte e di crude sino al ridicolo che, per nostra fortuna, non ha toccato solamente qualche partito, ma in un modo o nell’altro, tutte le formazioni in campo. Non c’è spazio per elencare con la necessaria attenzione (che le malelingue definiscono pedanteria), le singole “colpe” dei leader e dei loro movimenti. Per la prima volta nella storia repubblicana, si è assistito ad un rituale televisivo soffocante e stomachevole con esibizioni noiose, ripetitive e persino oltraggiose della verità dei fatti. Come è stato dimostrato da quel gentile candidato che, abituato a crearsi abiti di stralunata eleganza, è giunto a raccontare al prossimo una sua biografia ideale, in cui nulla c’era di vero, e tutto era inventato.
Per caso, sistemando appunti per pagine sulla storia di Rimini (destinate a non essere mai pubblicate in libro perché io sono fuori dal giro dei mecenati), ho appena trovato due citazioni: Lorenzo Valla fece un elenco di volumi che a gran prezzo insegnarono a non sapere, mentre Erasmo ricordava gli studi che educarono a parlare soltanto a vanvera. Molti comizi sono stati ricalcati su questo antico modello, deprecato già sei secoli fa, a dimostrare che la misura delle cose non deve partire da quelli che Rabelais chiamava gli studi vuoti, ma dai fatti reali che all’estero ci rimproverano vivacemente, come il nepotismo e la corruzione.

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Antonio Montanari