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Cresce l’attenzione missionaria

Potremmo dire che, al suo nascere, la parrocchia di Regina Pacis era in mezzo agli orti, in una zona di periferia della città che andava però rapidamente urbanizzandosi. Oggi di quegli orti, di quei campi coltivati e di quei viottoli polverosi non rimane ombra, perché il suo territorio è tutto densamente urbanizzato.
Anche se questa parrocchia ha una storia relativamente breve (è sorta nel 1955) la sua vitalità è stata effervescente fin dall’inizio e dona proprio oggi i suoi frutti migliori.

“Gli anni successivi al Concilio – ci racconta l’attuale parroco don Lauro Bianchi – sono stati caratterizzati da una notevole vivacità nella pastorale giovanile: ogni anno, dopo il sacramento della confermazione, nasceva un gruppo che si inseriva nell’itinerario formativo della vita parrocchiale, guidato da uno o più responsabili. La comunità giovanile, insieme al gruppo famiglie è stata l’ossatura fondamentale della vita della parrocchia. Molti giovani e adulti si sono messi a servizio della comunità, chi assumendo un ministero istituito (lettori e accoliti), chi prestando servizio come educatore dei più giovani o in altri numerosi servizi. Da questa intensa esperienza di vita sono emerse negli ultimi anni due vocazioni: una alla vita religiosa, padre Daniele Vallorani, e una al sacerdozio, don Eugenio Facondini. Sono i frutti più evidenti, insieme a tanti altri meno clamorosi, ma ugualmente importanti e preziosi, per la vita della Chiesa. La comunità di Regina Pacis è viva e ricca di frutti, vive la fede e ne dà testimonianza. Ora è chiamata a raccogliere le sfide nuove di questo tempo, i grandi mutamenti della nostra società e le opportunità in essa racchiuse”.

Vivacità giovanile, numerosi gruppi e nuove sfide: come riesci ad armonizzare in unità tutte queste realtà?
“In questi ultimi anni si è cercato di integrare maggiormente la vita dei diversi gruppi nella comunità più ampia, creando occasioni di incontro, collaborazione e condivisione. I gruppi comunque continuano ad esistere e hanno una valenza fondamentale nello scambio della esperienza della fede e del vissuto personale; sono e rimangono ambiti di fraternità vera e profonda. Per quel che riguarda i gruppi giovanili, rispetto ad alcuni anni fa, sono cadute non poche separazioni e divisioni tra i gruppi stessi che tenevano le persone un poco isolate le une dalle altre e restringevano le relazioni quasi esclusivamente al gruppo di appartenenza. Questa dinamica relazionale rendeva difficile l’inserimento di nuove persone che volevano entrare attivamente nella comunità. I gruppi tendevano a diventare elitari e a fare sentire, pur non volendolo, chi non vi apparteneva, un cristiano di serie b. Questa visione della comunità è in via di superamento, i gruppi ora sono molto più aperti, i ritmi della vita si sono fatti meno stringenti e le relazioni sono migliorate molto”.

Si dà per scontato che una parrocchia sia, in primo luogo, una comunità di fede. A Regina Pacis, c’è questa consapevolezza o tensione?
“La fede si comunica a partire da una vita vissuta concretamente nella fede. La comunità cristiana di Regina Pacis ha questa consapevolezza. Non basta organizzare delle iniziative, è necessario vivere la fede. I segni di questa consapevolezza sono diversi:
– nella nostra comunità c’è una” tradizio” che si comunica; l’esperienza vissuta nel passato e nel presente nella comunità si riversa sulle nuove generazioni: molti adulti, molte famiglie, sono impegnate nel servizio educativo verso i più giovani, i ragazzi e i bambini.
– i diversi gruppi dei giovani adulti continuano il loro cammino anche dopo tanti anni, ciò significa che in quei gruppi tra le persone si è instaurata una relazione nella fede, che non viene a meno anche col passare del tempo”.

Parlare di fede con le persone che frequentano la parrocchia è facile, sia coi gruppi giovanili che con qualsiasi altro gruppo. Ma coi “lontani”?
“In questo senso la visita annuale alle famiglie ci sta aprendo un poco gli orizzonti. La comunità cristiana non si preoccupa solo di coloro che già frequentano la chiesa, ma si preoccupa di tenere viva una maggiore attenzione a tutti. L’orizzonte dell’azione della comunità è più ampio, almeno nel cuore e nelle intenzioni. La svolta missionaria, la nuova evangelizzazione in questo momento rimangono dei buoni propositi, ma non riusciamo a tradurli in azioni efficaci e decisive. Ci sono però nella ordinarietà della vita e nelle iniziative che proponiamo, dei segni che indicano una attenzione missionaria.
Per esempio per quanto riguarda le povertà di tipo materiale, vediamo che diventano anche occasione di evangelizzazione. Le numerose persone che si avvicinano alla nostra parrocchia per richieste di aiuto di diverso genere, trovano negli operatori della Caritas e in altri operatori pastorali una accoglienza e una attenzione che in questi ultimi tempi è cresciuta e si è fatta più competente ed efficace.
Un altro segno importante che caratterizza la vita della nostra parrocchia, da due anni, è il doposcuola per bambini stranieri, fatto da diversi insegnanti in pensione, volontari. Il rapporto di fiducia che si sta instaurando tra la parrocchia e queste famiglie immigrate è una grande occasione di evangelizzazione. Alcuni di questi bambini si sono inseriti nel nostro oratorio estivo, e qualcuno ha chiesto di partecipare alla catechesi. Alcuni hanno anche chiesto di diventare cristiani, d’accordo con la loro famiglia.
Gli spazi e le occasioni per l’annuncio della Buona Notizia sono tante, si tratta di non perderli”.

Uno spazio e un impegno sempre pressante per ogni parrocchia è la catechesi. Ma quali passi fare perché la catechesi sia annuncio di fede?
“Ci siamo dati prima di tutto un obiettivo: l’accoglienza. Le persone della nostra parrocchia devono percepire che la comunità è aperta e attenta alle persone e alle loro esigenze profonde. Tra gli operatori pastorali, e in primo luogo fra i catechisti, cerchiamo di educarci a uno sguardo senza pregiudizi, vedendo i bambini, i ragazzi e le loro famiglie nella loro unicità e in una relazione di amicizia. Cerchiamo, per quello che siamo capaci, di trasmettere la gioia nel servizio al quale siamo stati chiamati”.

Da quando sei diventato parroco a Regina Pacis questa parrocchia è entrata a far parte della Zona Pastorale Flaminia. Cosa ha voluto dire questa partecipazione?
“Sì, in questi ultimi anni su questo punto sono stati fatti dei passi notevoli. La parrocchia soffriva di un certo isolamento pastorale; ora la strada della collaborazione e della comunione con le parrocchie della zona è stata imboccata decisamente.
Dai primi timidi passi (partecipazione alla Messa delle Palme che si fa davanti allo stadio), siamo passati a vivere diversi momenti comuni tra le parrocchie. Alcuni incontri dei Consigli Pastorali riuniti, alcuni momenti formativi per i catechisti, gli animatori ed educatori dei giovani, i ministri istituiti, un ritiro all’inizio dell’anno pastorale, molto partecipato, i campeggi estivi delle elementari e delle medie, bene riusciti e che hanno favorito la conoscenza e la collaborazione degli educatori, la Messa annuale con i bambini della prima comunione e le loro famiglie, le liturgie penitenziali nei momenti forti. I momenti comunitari non muovono masse enormi, alcuni sono poco partecipati, ma la strada da percorrere è questa, la parrocchia non riesce e non può più essere autosufficiente. La condivisione pastorale, la collaborazione, sono necessarie per la crescita della Chiesa e delle nostre comunità in una dimensione missionaria che ci renda più capaci di incidere sul territorio.
Dallo scorso novembre, i preti della zona pastorale, che già collaborano e si incontrano quasi quotidianamente per il pranzo, hanno iniziato una nuova forma di vita comune che consiste, per tre di loro, nella coabitazione e in due momenti di preghiera comune, al mattino e alla sera”.

Ma voi preti, oltre a dover seguire le vostre singole comunità, avete anche qualche compito specifico a vantaggio di tutta la Zona Pastorale?
“Sì. In quei settori dove si svolge un lavoro unitario c’è anche un responsabile comune. Per esempio, attualmente io sono chiamato a coordinare il lavoro della catechesi, con momenti formativi per tutti i catechisti delle nostre quattro parrocchie. Ciò non toglie però che ogni parroco abbia la responsabilità della catechesi nella sua parrocchia. Il coordinamento comune è un aiuto e uno stimolo”.

Pranzo comune a San Giovanni, vita comune e preghiera a Cristo Re… esempi eloquenti per condurre sempre più le nostre Comunità all’unità e alla collaborazione.

Egidio Brigliadori