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“La mia nuova vita a due ruote”

Come ricorda lo stesso Massimo Ruggeri, ne è passato del tempo dalla prima chiacchierata che facemmo circa venticinque anni fa. “Ricordo che avevo 15, 16 anni quando rilasciai a il Ponte la mia prima intervista da giocatore di basket”.
Erano anche i tempi in cui Massimo si divertiva a schiacciare nei canestri del campetto parrocchiale di San Nicolò. Come era facilmente intuibile, quel ragazzino filiforme aveva tutto per diventare un campione di basket. E così è stato. La sua carriera, partita dal settore giovanile del Basket Rimini, vincendo, con Semprini, Ferroni e Myers, scudetti giovanili a ripetizione, si è poi dipanata con la Fortitudo Bologna, dal 1995 al 1997, e poi dal 1999 al 2001, anno in cui, con il club bolognese, ha vinto lo scudetto. In mezzo le stagioni con l’Olimpia Milano e i due ritorni a Rimini: il primo nel 1998-1999, il secondo nel 2001-2002 questa volta in Legadue. Massimo ha poi giocato con Reggiana, Montegranaro, Latina, Gandino Bologna, Anzola, Potenza e lo scorso anno la chiusura con Reggio Calabria. In mezzo anche 23 presenze con la Nazionale Italiana. Una carriera lunga e prestigiosa.
“L’unico rammarico è stato quello di dover smettere a causa di un serio infortunio al ginocchio. Sono stato operato due volte. A guarigione avvenuta ho avuto delle offerte dal bolognese, ma non essendo completamente a posto fisicamente ho preferito attaccare la canotta al classico chiodo”.

Se oggi volete vedere “Ruggio” basta fare un salto al civico 12 di via dei Mille: c’è un’officina di riparazione biciclette. Lui è lì al banco alle prese con raggi, freni e tubolari.
“Quando ho smesso non sapevo cosa fare, nel senso che l’inserimento nel mondo del lavoro per un 40enne senza esperienza è molto difficile. Valutando il tutto ho capito che l’officina era la situazione ideale, così prima ho provato, poi sono andato avanti”.
L’officina dei Ruggeri ha una lunga tradizione.
“Ha iniziato mio nonno Ruggero, artigiano a tutto tondo. La sua eccezionale manualità lo portava a riparare anche le biciclette. Dopo di lui c’è stato lo zio Pierino, poi suo fratello Giovanni, che è anche il mio babbo, meccanico di motori, e adesso ci sono io a continuare la tradizione”.
È un lavoro che dà molta soddisfazione?
“Certamente, come tutti i lavori artigianali si fa molto affidamento sulla manualità e l’ingegno. Poi sei a contatto con la gente, un rapporto che gratifica sempre”.
A proposito di rapporto, qual è quello attuale con il basket?
“Ho avuto delle richieste per giocare a livello amatoriale, ma ancora non mi sento pronto, nemmeno per giocare una partitella con mio fratello Ruggero e i nostri amici. Come allenatore mi sarebbe piaciuto seguire i piccolini, ma ora come ora non ho tempo. Oltre al lavoro devo dedicarmi alla famiglia, a mia moglie Genny, che tra l’altro ha una sua attività, e ai miei figli: Mattia di 3 anni e 8 mesi ed Elia di appena 8 mesi”.
Dei tuoi compagni del passato, passa qualcuno dall’officina per una rimpatriata?
“Passa Carlton Myers, da solo e con suo padre, i Benzi, il padre di Bibo Fontana e un paio di giornalisti che sono anche miei clienti”.

Beppe Autuori