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“La mia buona scuola”

C’è chi si arrovella per dare un nuovo indirizzo alla scuola italiana, per renderla più vicina al mondo delle imprese e ai giovani d’oggi, e c’è chi non ha atteso il legislatore né fatto marce di protesta e si è rimboccato le maniche costruendosi una scuola su misura. È il caso de La città dei maestri, piccola scuola alberghiera di San Giuliano di Rimini, nata un anno fa da un’idea dell’imprenditore Giordano Pecci, riconosciuta dallo Stato seppure non goda ancora dello status di paritaria.
“È una scuola per ragazzi fuori dalla media – racconta il fondatore – il mio secondogenito ha avuto problemi di linguaggio, ha iniziato a parlare a 6 anni e nella scuola tradizionale non è riuscito a diplomarsi perché questa non ha gli strumenti per seguire i casi eccezionali. Il suo dirigente scolastico mi ha detto una volta: «oggi la scuola è per gente media, quelli sopra e sotto la media sono tagliati fuori». Ecco, io ho voluto raccogliere i ragazzi lasciati ai margini perché non sono media e tirare fuori il loro potenziale”.

Il risultato? Ragazzi con capacità molto sopra la media. Oggi suo figlio ha 20 anni, non ha potuto godere di questi insegnamenti “speciali”, però è riuscito a trovare la sua strada ottenendo la patente nautica. Pecci, è per giovani come suo figlio che avviato questa scuola superiore?
“Sì. Io stesso non mi vergogno di dire che ho avuto problemi di dislessia a scuola, eppure ho trovato la mia strada e oggi con la mia impresa do da mangiare a molte famiglie. Mio figlio non capiva la Filosofia. Troppo astratta. Eppure se la scuola avesse avuto le risorse per spiegargliela in maniera più concreta sono sicuro che ce l’avrebbe fatta. Nella Città dei maestri insegniamo le discipline a partire da episodi reali. Se bisogna realizzare una ricetta in inglese, cosa si fa? Ecco che nasce nel giovane il desiderio di conoscere la materia, perché gli serve per lavorare. Quando i ragazzi vedono un’applicazione pratica a quello che studiano trovano un rinnovato interesse”.

Come si è mosso?
“Per anni ho cercato di realizzare una scuola professionale di falegnameria, ma mi è stato detto di rinunciare perché a Rimini ce ne sono già altre e tutte le risorse sono destinate a quelle. Per cui abbiamo trovato una modalità diversa. Non riceviamo finanziamenti e il sostegno proviene dalle donazioni soprattutto di imprenditori. Gli insegnanti sono tutti volontari. L’anno scorso siamo riusciti a coprire le spese. Quest’anno abbiamo raddoppiato le classi, serviranno più soldi”.

Persino Fausto Bertinotti, recente ospite alla Fiera di Rimini, è rimasto colpito dalla vostra scuola.
“Lo abbiamo invitato a cena e ha detto che quello che abbiamo realizzato e ciò che ha sempre sognato per il suo movimento popolare, seppure io appartenga ad una tradizione culturale opposta. Ha detto: «un uomo che ha un problema col proprio figlio e si mette a fare qualcosa per il bene di tutti è qualcosa che nella società di oggi non esiste». È bello vedere come anche con colui che si è sempre visto come un oppositore, quando si avvia il dialogo, si scopre che alla fine gli obiettivi sono i medesimi. Bertinotti ha poi aggiunto: «se rispondi alla tua coscienza, quella che io chiamerei cuore, si capisce che una cosa la fai per il bene di tutte le persone»”.

Il suo secondogenito è già grande eppure si adopera per far maturare i figli di altri padri. Da dove trae ispirazione ogni giorno?
“Sono un uomo molto fortunato. Ho una famiglia eccezionale e un buon lavoro. Grazie ad un altro dei miei quattro figli ho capito il senso della felicità. Lui ha una grave disabilità, ha iniziato a camminare a 9 anni e non parla. Quando è nato ero arrabbiato con la vita, pensavo che la sua disabilità mi avrebbe condizionato. Poi ho scoperto che è stato il dono più grande che potessi ricevere perché mi ha fatto capire cosa conta veramente nella vita. Ogni mattina lo sveglio e mi sorride. All’inizio mi domandavo: come mai lui è felice nonostante i suoi limiti e io non lo sono? Il suo sorriso mi ha fatto capire che spesso facciamo dipendere la felicità da cose che non hanno senso”.

Mirco Paganelli