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L’orologio di Talacia torna a casa

“L’orologio di Talacia. Memorie di un contadino inventore” è lo spettacolo che il 9 novembre, all’ex Lavatoio di Santarcangelo (ore 21), ridarà vita grazie alla voce di Liana Mussoni, le note di Tiziano Paganelli e gli intermezzi dialettali di Marco Bianchini al Geppetto romagnolo, Gennaro Angelini, meglio noto come Talacia (1874–1956). Semianalfabeta e al tempo stesso genio naif, Talacia era il “contadino del prete” di San Martino in Riparotta. La sua creatività, il continuo progettare meccanismi e ingranaggi ricavati da pezzi di legno e di latta o da parti di biciclette, dipanatoi e filatoi in disuso lo hanno portato, in oltre trent’anni, a costruire un orologio-calendario incredibile. Quanto rimane del marchingegno che negli anni ha rischiato di andare perso (fu smontato e portato da una nipote a Rieti), ora è tornato a casa, grazie all’interessamento del parroco don Danilo, ed è nella sagrestia della chiesa.
Non è ancora la ricostruzione esatta della creatura che, appesa al soffitto della stalla, cresceva un po’ alla volta convivendo col placido ruminare dei buoi, ma i volontari che se ne stanno occupando confidano di raggiungere presto la “quasi perfezione”.
Il castello fragilissimo e fantastico di Gennaro non era solo un orologio, bensì una “enciclopedia del tempo” (così la definì, nel 1950, un documentario dell’Istituto Luce). Lungo 6 metri, segnava minuti (i secondi e i primi), quarti, mezzore, ore, giorni, settimane, mesi, stagioni, fasi solari e lunari, anni ordinari e bisestili, lustri, decenni, secoli, costellazioni, alte e basse maree. C’era pure una campanella per la sveglia del mattino e a mezzogiorno sparava un colpo di pistola.
Don Danilo è stato il promotore del ritorno dell’orologio a San Martino, ma indispensabili sono stati i discendenti di Talacia (le famiglie Angelini, Evangelisti e Lazzarini) e l’apporto pratico di Martino Urbinati e Riccardo Rinaldi.
Fondamentale il sostegno del direttore Mario Turci e della ricercatrice Federica Foschi del Museo Etnografico di Santarcangelo, che sorvegliano l’orologio e ne verificano la salute, visto che la “macchina del tempo” ora è di proprietà del Museo.

(Maria Cristina Muccioli)