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L’acrobatica ricerca di dialogo

Meeting significa incontro, fra persone. Il significato più vero di questo progetto è proprio l’incontro fra persone che genera una nuova storia.
Il progetto in questione si chiama “Una fame che ci vedo”, titolo ovviamente ironico di uno spettacolo che ha visto protagonisti per due serate (e una gustosa, imprevista anteprima nella hall sud) undici ragazzi keniani tra i 25 e i 30 anni, ex bambini di strada, aiutati e salvati grazie all’aerobica e ad un incontro, quello con padre Renato Kizito Sesana.
La prima volta che Otello Cenci, responsabile spettacoli del Meeting, mi ha parlato dell’idea di creare uno spettacolo per questa edizione del Meeting 2014 che venisse dall’Africa, che coinvolgesse artisti africani, si era da poco concluso il Meeting 2013 ed era stato lanciato il tema di questa edizione sulle periferie del mondo e dell’esistenza.
Il primo incontro dunque è stato quello con Otello. Lui conosceva il mio coinvolgimento e la mia passione per l’Africa, e parlando di questa sua idea mi chiese se conoscevo qualche esperienza artistica africana interessante. Da lì è partito il percorso.
Sono membro di Amani, una ong italiana che da vent’anni sostiene i progetti di Koinonia, una organizzazione africana fondata dal missionario comboniano padre Renato Kizito Sesana. Le nostre case a Nairobi ospitano ex ragazzi di strada e fra le attività che da anni vengono realizzate con questi giovani c’è anche quella artistica, acrobatica e musicale. Le occasioni di realizzazione di attività spettacolari da presentare anche fuori dal Kenya non sono una novità. Già nel 2011, ad esempio, abbiamo realizzato uno spettacolo di teatro acrobatico all’interno del Ravenna Festival mettendo in atto un progetto di incontro con il maestro Riccardo Muti che venne poi in Kenya per realizzare il grande evento del concerto delle “Vie dell’amicizia” nel centro di Nairobi con il coinvolgimento, anche in quel caso, dell’acrobatic team di Koinonia.
Il secondo incontro di questo vitale percorso è stato quello di Otello con padre Kizito e successivamente l’incontro diretto di Otello che insieme a Beppe Chirico, l’attore italiano implicato nello spettacolo “Una fame che ci vedo”, si è recato a Nairobi per incontrare i ragazzi – acrobati e musicisti keniani – che sarebbero stati coinvolti in questo progetto artistico. Lì hanno costruito il team e hanno cominciato a elaborare lo show. Due sono stati i viaggi a Nairobi intrapresi da Otello e Beppe, uno in primavera e il secondo nel luglio scorso, con lo scopo di allestire lo spettacolo ma soprattutto di entrare dentro a quest’incontro fra persone, fra culture, fra mondi distanti.
La sintesi vera di questo lavoro è il significato profondo dell’incontro ed è anche il cuore di ciò che si è inteso offrire al pubblico in occasione dello spettacolo allestito al Meeting.
Ha portato in scena la fame di riscatto dei ragazzi: solo se si è veramente affamati, si è anche disposti ad accettare una pietanza non prevista. La storia ha preso spunto dal racconto della Torre di Babele: l’incontro di razze e lingue differenti, tra persone che ad ogni latitudine affrontano però problemi comuni e che cercano un modo per comunicare e per risolvere le questioni. In questo spettacolo, i keniani hanno messo spettacolarmente in scena loro stessi, si sono raccontati e si sono fatti conoscere, con un entusiasmo contagioso, su e giù dal palco. E la consapevolezza che la diversità non è un problema ma una risorsa.
Gli artisti keniani sono arrivati in Italia il giorno di ferragosto e subito si sono messi gioiosamente al lavoro. Dieci giorni di prove intense per arrivare al debutto del 25 agosto. In quei giorni le nuove occasioni d’incontro si sono moltiplicate. Ad esempio quelle con i parrocchiani di San Lorenzo in Correggiano, la parrocchia della collina riminese che ha scelto di ospitare il team nella loro permanenza italiana. E quella con i volontari di Amani che si sono messi a disposizione per organizzare il vitto e l’alloggio degli undici artisti che compongo il gruppo. Fra loro, ad esempio, c’è anche una famiglia al completo che ha deciso di dedicare le proprie ferie di agosto a questo servizio. Aver vissuto queste giornate insieme, mettendosi al servizio come volontari di questi artisti, è un po’ come essere andati in Kenya.

Francesco Cavalli