“Io, professore a Kuwait City”

    DA Rimini a Bologna, a Brighton, a Toronto, a Tampa, in Florida, poi a Philadelphia e infine a Kuwait City. La lista degli spostamenti di Matteo Salvadore, riminese, in giro per il mondo da 15 anni, è lunga e in continuo aggiornamento. La sua prima uscita dal Belpaese è stata per un Erasmus, a Brighton, in Inghilterra, e l’anno successivo a Toronto, in Canada. Poi il ritorno a Bologna con l’idea di rimanere in Italia. Magari vicino a Rimini. Ma le cose, spesso, vanno molto diversamente da come le si progetta.
    “Avevo finito l’università ed ero tornato in Italia – racconta Matteo – con l’idea di trovare un lavoro e stabilirmi qui. La mia prima esperienza fu uno stage in una società di consulenza di Bologna. Di lì a poco mi contattò un’altra azienda internazionale con delle filiali a Tampa, in Florida e a Bologna. Avevo già una buona conoscenza dell’inglese, e mi proposero di lavorare proprio a Tampa per gestire i rapporti tra l’America e l’Italia. Avrei dovuto occuparmi di traduzioni, stilare report e altre commissioni simili. Forse non un lavoro particolarmente estroso, ma l’idea di andare in Florida a 24 anni mi tentava troppo”.
    E così Matteo parte di nuovo. Questa volta definitivamente. La vita sociale a Tampa non è delle più avvincenti.
    “L’America è così. Se stai in una grande città, come può essere in Florida Miami, allora ti sembra davvero di vivere in un mondo dalle infinite possibilità, ma nei centri minori è dura. Si sente molto il peso della provincia americana”.
    Nonostante le difficoltà e le incertezze, l’esperienza di Matteo prosegue. Passerà due anni a Tampa e troverà anche qualche interessante distrazione!
    “Ho trovato un ristorante gestito da un riminese. Un piccolo angolo d’Italia in un mondo davvero lontano da casa. Ma soprattutto qui ho conosciuto Silvia, una ragazza di origini italiane nata a Kingston, in Jamaica, che pochi anni dopo avrei sposato”.
    Nel 2003 Matteo reputa l’esperienza con la società per cui lavora da tre anni ormai conclusa, e comincia a guardarsi attorno. Dopo aver sperimentato il mondo aziendale, decide di ritornare all’Alma Mater. Spedisce domande di ammissione a dottorati in giro per gli Stati Uniti e ne vince uno a Philadelphia, in Pennsylvania. Riesce a trovare anche una borsa di studio, e comincia così una nuova fase della vita.
    “Rimini è la città che ho nel cuore – racconta – in cui sono cresciuto, in cui ho lasciato la mia famiglia, gli amici e molti affetti. Ma non è la mia città. O meglio, non solo. Philadelphia per me è stata più di una seconda casa. Se Rimini è la città in cui sono nato, Philadelphia è stata la città in cui sono diventato adulto. Qui mi sono sposato e ho fatto il mio percorso di dottorato. Qui, pochi mesi fa, è nato il mio bimbo, Elia Linus. Rispetto a Tampa è un altro mondo. Philadelphia è una metropoli ricca di persone, eventi, cose da fare. Il modo in cui si vive qui è radicalmente diverso. È una città che sento casa mia”.
    A Philadelphia Matteo rimane per 7 anni, fino al 2010. Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca, comincia a cercare un posto in un’Università. Manda domande per tutti gli States e anche fuori. Ma la situazione non è delle migliori. Dopo il terremoto finanziario causato dalla Lehman Brothers, con la perdita senza precedenti per la persistente crisi dei mutui subprime, le università hanno chiuso i cancelli. Meno fondi, meno assunzioni e aumento delle situazioni di instabilità. Quasi casualmente, Matteo, spedisce una domanda anche alla Gust, la prima università privata del Kuwait, di cui aveva trovato un bando. La sorpresa è davvero inattesa: l’università lo chiama per un colloquio presso la sede consociata dell’Università del Missouri.
    “La discussione è andata bene. Mi hanno ricontattato per offrirmi un posto da docente. Ci ho pensato a lungo. L’idea di spostarmi ancora mi tentava e mi spaventava. E poi erano più di due anni che non tornavo in Italia. Alla fine, però, ho deciso di andare. Mi sembrava davvero un’occasione unica. Era un’offerta stabile e sicura rispetto all’insicurezza e alla precarietà della vita da docente in America. E poi negli ultimi anni i miei studi si erano concetrati sulla storia dell’Africa, e in un certo senso mi si offriva l’occasione di avvicinarmi al mio campo”.
    Da due mesi, quindi, Matteo è a Kuwait City, sulle acque del Golfo Persico. E ha scoperto che il Medio Oriente è un posto affascinante, per alcuni aspetti più vicino a casa di quanto non sia l’America.
    “Questo è un mondo per certi aspetti molto strano e lontano dal nostro, ma per altri davvero simile. L’impatto non è certo banale. Sono arrivato in estate, con una temperatura di 50 gradi e un’aria così secca che non si faceva in tempo a sudare. Il periodo del mio arrivo, tra l’altro, coincideva esattamente col Ramadan, per cui mi trovavo impossibilitato a mangiare in pubblico. Non è vietato mangiare durante il giorno, se uno non è mussulmano, ma non può farlo in pubblico. L’altra grande difficoltà è il divieto di consumo e di importazione di alcolici e carne di maiale. Qui si rischia l’arresto. Esistono molti prodotti surrogati, spesso a base di tacchino o manzo, ma per un riminese come me, amante della piadina col prosciutto è davvero dura! Dall’altra parte però, c’è uno spirito molto aperto nei confronti degli italiani e degli europei e in molti aspetti ci assomigliamo. I kuwaitiani amano il nostro paese, anche solo perché possono permettersi la moda e le macchine costose, ma anche perché amano i nostri costumi, la convivialità, e hanno un po’ quello spirito anarchico di stampo un po’ mediterraneo”.
    Oggi Matteo è uno dei 300 italiani in Kuwait, su una popolazione di 4 milioni di abitanti. Insegna all’università e ha portato con sé Silvia e il piccolo Elia. È un paese ricco. Così ricco che “gli studenti hanno le macchine più grandi di quelle dei professori”. Ma dai costumi per certi aspetti molto occidentali. Secondo Matteo, Kuwait City ricorda le grandi città americane, ma anche i quartieri italiani, con le persone che vivono la città, incontrandosi per la strada, mangiando insieme all’aperto e chiacchierando.

    Stefano Rossini