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Il pane amaro del perdono

Il 24 gennaio con un decreto pubblicato il giorno dopo sull’Osservatore Romano, Benedetto XVI ha revocato la scomunica a quattro vescovi della Fraternità di San Pio X inflitta nel 1988 da Giovanni Paolo II. La comunità cattolica tradizionalista aveva allora come capo spirituale il vescovo francese Marcel Lefebvre.
Un gesto di riconciliazione che presto ha assunto per il Papa un sapore davvero amaro. La revoca della scomunica infatti non soltanto non ha ammorbidito i rapporti tra questa ala ultratradizionalista cattolica e il Vaticano, ma ha innescato una serie di polemiche e rancori che ci dicono le difficoltà di questo dialogo. Non ultime le dichiarazioni di un prete lefebvriano a Rimini: “Siamo stati scandalizzati dalla preghiera di Benedetto XVI nella Moschea Blu di Istanbul. […] Il Papa poteva entrare in quel luogo dell’Islam come turista, ma non come Papa e come orante”. Non solo, ma pochi giorni prima altri suoi colleghi si erano affrettati a dire che la loro riammissione nella Chiesa cattolica non comporta l’accettazione del Concilio Vaticano II, o il ripudio delle accuse che da 40 anni il gruppo di Econe lancia contro Roma e il Papa.
Il porgere la prima guancia da parte di Benedetto XVI è stato letto con arroganza dai tradizionalisti come una resa incondizionata di Roma alle loro pretese. Il gesto di riconciliazione, invece di smuovere i cuori, sembra averli induriti e resi “consapevoli” della “debolezza di Roma”, nonché della forza della loro tradizione, più forte, nella loro testa, della stessa autorità del Pontefice.
È utile dunque leggere le prime reazioni soprattutto da parte dei vescovi alle polemiche che sono seguite, per il significato problematico che i mass media hanno dato al “perdono”, rafforzati in questo dalle dichiarazioni dei lefebvriani, ma anche per le tesi negazioniste sulla Shoah. a conferma delle loro posizioni antisemite.

La prima reazione pubblica all’intervento del Papa è del card. Jean-Pierre Ricard, arcivescovo di Bordeaux e membro della Commissione pontificia “Ecclesia Dei”. “La remissione della scomunica (ma rimangono sospesi a divinis) non è mai un fine ma l’inizio di un processo di dialogo. Papa Benedetto XVI ha voluto andare fino in fondo a ciò che poteva fare come mano tesa, come invito alla riconciliazione. Il Papa, teologo e storico della teologia, conosce il dramma che rappresenta uno scisma nella Chiesa”. “Lui stesso si è sentito investito della missione di ricucire i fili sfilacciati dell’unità ecclesiale. La revoca della scomunica – prosegue Ricard – apre un cammino da percorrere insieme. Questo cammino sarà sicuramente lungo.”
E “ad un certo punto, dovrà essere posta la questione del testo stesso del Concilio Vaticano II come documento del Magistero di primaria importanza. È la questione fondamentale”. Ma non è tutto: “le difficoltà – avverte l’arcivescovo – non saranno necessariamente solo di tipo dottrinale. Le ultime esternazioni, inaccettabili, di mons. Williamson che negano il dramma dello sterminio degli ebrei, ne sono un esempio”.

Vescovi belgi. Immediato anche il loro intervento. Padre Eric de Beukelaer, portavoce della Conferenza episcopale belga afferma: “Tutto ciò che contribuisce all’unità dei cristiani è di fatto una cosa buona”. “Ma come ricorda spesso Benedetto XVI, l’unità non si fa mai a scapito della verità. Con questo gesto di riconciliazione, non è dunque messo in discussione il Concilio Vaticano II e i suoi insegnamenti”. Il portavoce dei vescovi mette in guardia dal rischio di “confondere questa questione con le dichiarazioni di un vescovo tradizionalista che nega la realtà della Shoah” ed aggiunge: “non si può che deplorare tutto questo. La Shoah resta il simbolo della follia omicida di un regime disumano ossessionato dall’idea di annientare il popolo ebraico. Qualsiasi persona che ne minimizza la portata è inaccettabile e … sciocco”.

“La revoca che ha suscitato tanto allarme non conclude una vicenda dolorosa come lo scisma lefebvriano”, scrive Carlo Di Cicco, vicedirettore dell’Osservatore Romano, ma “con essa il Papa sgombera il campo da possibili pretesti per infinite polemiche, entrando nel merito del vero problema: l’accettazione piena del magistero, compreso ovviamente il concilio Vaticano II”. In particolare, “pare un esercizio retorico, se non proprio offensivo, pensare che Benedetto XVI possa svendere anche in parte il Concilio a chicchessia. Come retorico è il ricorrente chiedersi di alcuni se il Papa sia davvero convinto del cammino ecumenico e del dialogo con gli ebrei”. “Il dialogo è parte costitutiva della Chiesa conciliare – prosegue l’articolo – e Benedetto XVI ha ripetuto più volte, e di nuovo ora, che l’ecumenismo richiede la conversione di tutti — anche della Chiesa cattolica — a Cristo”. “Dall’accettazione del Concilio discende necessariamente anche una limpida posizione sul negazionismo”, conclude citando la Nostra aetate: “Le recenti dichiarazioni negazioniste contraddicono questo insegnamento e sono pertanto gravissime e inaccettabili”.

Martedì 27 gennaio c’è da registrare l’intervento di mons. Bernard Fellay, superiore generale della Fraternità San Pio X: “Domandiamo perdono al Sommo Pontefice e a tutti gli uomini di buona volontà, per le conseguenze drammatiche” delle affermazioni negazioniste di mons. Richard Williamson. “Abbiamo avuto conoscenza di un’intervista rilasciata da mons. Richard Williamson, membro della nostra Fraternità San Pio X, alla televisione svedese. In questa intervista – scrive Fellay – egli si esprime su questioni storiche, in particolare sulla questione del genocidio degli ebrei da parte dei nazionalsocialisti. È evidente che un vescovo cattolico non può parlare con autorità ecclesiastica che su questioni che riguardano la fede e la morale. La nostra Fraternità non rivendica alcuna autorità sulle altre questioni”. La missione della Fraternità, spiega il superiore generale, “è la propagazione e la restaurazione della dottrina cattolica autentica, esposta nei dogmi della fede”.

Il 28 gennaio, il Papa spiega ai fedeli la sua decisione nell’udienza del mercoledì.
È un “atto di paterna misericordia”, cui dovrebbero seguire da parte dei destinatari “ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa”. Così la definisce. “Proprio in adempimento al servizio all’unità, che qualifica in modo specifico il mio ministero di Successore di Pietro – ha detto Benedetto XVI – ho deciso giorni fa di concedere la remissione della scomunica in cui erano incorsi i quattro vescovi ordinati nel 1988 da mons. Lefebvre senza mandato pontificio”. “Ho compiuto questo atto di paterna misericordia – ha spiegato – perché ripetutamente questi presuli mi hanno manifestato la loro viva sofferenza per la situazione in cui si erano venuti a trovare. Auspico che a questo mio gesto faccia seguito il sollecito impegno da parte loro di compiere gli ulteriori passi necessari per realizzare la piena comunione con la Chiesa, testimoniando così vera fedeltà e vero riconoscimento del magistero e dell’autorità del Papa e del Concilio Vaticano II”.

“Aderire a tutti i documenti del Concilio Vaticano II”. È questo il passo che i lefebvriani devono compiere se vogliono entrare in piena comunione con la Chiesa di Roma. Lo ha ribadito giovedì 29 gennaio il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il cardinale ha detto che “si è trattato di un gesto di misericordia e la misericordia non cede al compromesso, ma è la forza più rilevante per proseguire nel dialogo”.

“Non è accettabile quanto viene affermato da don Pierpaolo Petrucci, che la revoca della scomunica rappresenti un ‘riconoscimento implicito’ delle idee e delle posizioni della Fraternità San Pio X” e “ci associamo di cuore all’invito del Papa affinché il suo gesto di misericordia porti la Comunità San Pio X a riconoscere il Concilio Vaticano II”. Lo ha infine affermato venerdì 30 in una nota mons. Francesco Lambiasi con riferimento alle dichiarazioni di don Pierpaolo Petrucci, priore del Priorato di Rimini della Fraternità San Pio X (vedi testo completo a parte). (GvT)