“Molta gente ancora non sa che all’Eucaristia si fa anche il “lifting”. Devono però averlo intuito forse le donne, perché nelle Messe feriali ci sono quasi sempre solo loro!
Si effettua dopo la Comunione e in anestesia totale, chiamata «sacro silenzio» (OGMR 88.164.271). È il momento in cui tutta l’assemblea (sacerdote e fedeli), ricevuto il Corpo e il Sangue di Cristo, si siede e sprofonda «per un tempo conveniente» (OGMR 164) nel silenzio di Dio (silenzio liturgico, OGMR 45; Catechesi, n. 28), lasciandosi “covare” dallo Spirito Santo, lo stesso che “covava” sulle acque al principio della creazione (Gn 1,2): «Per la partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, si sparge abbondantemente su ciascuno dei fedeli il dono dello Spirito Santo come acqua viva (cf. Gv 7,37-39)» (Congregazione Culto Divino, Eucharisticum Mysterium, 38).
Altro che botulino!
È il momento in cui lo Spirito compie una nuova creazione; il momento in cui il popolo è immerso nell’Amore divorante di Dio, nel Fuoco che fonde e unisce in una lega indissolubile a Cristo; il momento in cui il Dito di Dio tratteggia sul volto di ogni cuore i “tratti somatici” del Figlio, «il più bello tra i figli dell’uomo» (Sal 44,3).
Tuttavia, non si tratta di un silenzio solo passivo, ma anche attivo, in cui ogni fedele s’intrattiene in un colloquio tutto interiore, a “tu per tu” con il Signore Gesù; in esso “fa propria l’Eucaristia”, cioè ringrazia “doverosamente” Dio per averlo tanto amato da dargli il suo Figlio (Gv 3,16) e aver ricevuto il dono dei doni: lo Spirito Santo, grazie al quale siamo partecipi della vita divina come figli-nel-Figlio (CEI, Istruzione Comunione Eucaristica, 17; Inestimabile Donum, 17).
Questo intimo colloquio non è sentimentalismo, né pietismo, ma interiorizzazione del Mistero celebrato (Cristo che si offre al Padre e a noi nello Spirito Santo, e noi con e in Lui), così potente e luminoso, che ogni mortale ha bisogno di tempo per non rimanerne folgorato e abbagliato.
Anzi, senza questo intimo colloquio difficilmente potremmo aprirci alla missione e alla carità , ossia a che «l’Eucaristia, con la forza dello Spirito, continui nella vita di ogni giorno» (CEI, Istruzione CE, 17). La missione infatti non nasce come qualcosa da fare, ma da una relazione e «quando le corde di due strumenti sono perfettamente accordati, basta che ne vibri una perché l’altra suoni» (Meir ibn Gabbay, XV sec.).
Attenzione allora alla “preghiera parolaia” dopo la Comunione, perché quando Cristo Sposo e la Chiesa Sposa stanno consumando la loro unione, allora non c’è più niente da dire: due persone si tacciono o perché si distanziano o perché iniziano a parlarsi con lo sguardo semplice e la delicatezza delle carezze. Dopo la Comunione, quindi, il popolo di Dio può giungere alle soglie della Teologia mistica, in cui «i misteri semplici e assoluti e immutabili della teologia sono svelati nella nube luminosissima del silenzio» (Dionigi Areopagita, Teologia Mistica, I,1). Allora, guai a chi «sveglia la sposa!» (Ct 2,6-7; 3,5; 8,4).
Solo da questo silenzio post-communio si può comprendere il culto eucaristico, come per esempio l’adorazione, la quale è prolungamento dell’intima unione con Cristo nella Comunione, ed è autentica solo quando nasce dall’Eucaristia e riporta ad essa (EM, 50; Rito della comunione fuori della Messa e culto eucaristico, 89). Non a caso, dovrebbe trovare posto al termine della Messa (che allora si conclude senza la benedizione), con un’ostia consacrata nella stessa e con l’ostensorio posto sull’altare su cui si è appena celebrato (EM 60.62).
Il rito della Messa prevede che al silenzio possa seguire ilcanto di un salmo o un inno di lode (OGMR 88.164) da parte di tutta l’assemblea. E non potrebbe essere altrimenti, perché come quando si giunge in cima a una vetta, e lì s’incontrano altri scalatori, non può che sbocciare la festa! Ce lo insegnano bene i fratelli e le sorelle del Rinnovamento nello Spirito, che dopo il silenzio della Comunione sfociano nel canto in lingue (1Cor 14; 12,10), dove ognuno canta una propria melodia e, inaspettatamente, come fosse presente un grande direttore di coro, tutte le voci si armonizzano! Questo canto post-communio, introdotto nella liturgia nel XIII sec., si differenzia da quello di Comunione (v. Catechesi, n. 81), perché non accompagna un rito, ma è esso stesso un rito a sé stante (OGMR 37a), tanto che il primo deve cessare a tempo opportuno per lasciar spazio a questo (OGMR 86).
E allora? Allora di fronte ai ringraziamenti frettolosi dopo la Comunione, al “fuggi-fuggi” generale al termine della Messa e alle chiacchiere assordanti di chi rimane in chiesa, può essere utile ricordarsi l’aneddoto di san Filippo Neri: un giorno, vedendo che molti fedeli uscivano dalla chiesa appena ricevuta la Comunione, mandò due chierichetti con grandi candele accese a seguire questi “frettolosi”. Voltandosi, uno di essi chiese: «Perché oggi ste’ candele?» e il Santo rispose: «Perché accompagnino er Santissimo che mò hai pijato e lo ringrazino e gli diano lode da parte tua!».
Elisabetta Casadei
bettycasadei@hotmail.com)
* Le prime catechesi sono già raccolte nel volume: E. CASADEI, Tutto (o quasi) sulla Messa, Effatà 2014.
Un secondo volume completerà l’opera con tutte le catechesi pubblicate su il Ponte.