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Gli Schindler di Bellaria

SHOAH. L’albergatore Ezio Giorgetti e il maresciallo dei Carabinieri Osman Carugno furono decisivi per salvare 39 ebrei giunti a Bellaria dopo l’armistizio del 1943. Una serie di memorie, testimonianze e documenti li ricordano

Il 9 aprile 2002 Ezio Giorgetti di Bellaria fu ricordato a Washington assieme ad Oskar Schindler in una cerimonia organizzata dall’United States Holocaust Memorial Museum, in onore di quanti si adoperarono nel salvataggio di ebrei dalle persecuzioni antisemite durante il secondo conflitto mondiale.

La vicenda di Ezio Giorgetti

(foto sinistra) (come già scrissi in «Rimini ieri, 1943-1946», Il Ponte 1989, pp. 94-95), ha per protagonisti 39 ebrei, arrivati a Bellaria dopo l’armistizio nell’albergo Savoia gestito da suo padre, Giovanni. Sono donne, uomini e bambini, originari della Germania, dell’Austria, dell’Jugoslavia e della Polonia, fuggiti l’11 settembre da un campo d’internamento veneto. Li ha mandati da Giovanni Giorgetti una sua vecchia cliente, la contessa Clara Fieda che da Asolo, dove abitava, aveva organizzato il viaggio di quel gruppo in camion fino alla Romagna.

Profughi stranieri

Arrivarono con una lettera di presentazione che li qualificava come ‘profughi stranieri’. Li accolsi”, testimoniò Ezio Giorgetti: “ Solo dopo qualche giorno, visti vani tutti i loro tentativi di noleggiare una barca da pesca e di allontanarsi via mare, ci dichiararono di essere ebrei e di rimettersi nelle mie mani”.

Chiedono un’ospitalità che per i padroni di casa significa rischio della vita. Solo una decina hanno i soldi per pagarsi la retta-sfollati.

Giorgetti e la moglie, Lidia Maioli, li accolgono, li aiutano, ricorrendo per consiglio e appoggio anche al maresciallo dei Carabinieri di Bellaria, Osman Carugno (foto destra); al segretario comunale di San Mauro, Alfredo Giovannetti; al vescovo di Rimini, monsignor Vincenzo Scozzoli e a don Emilio Pasolini. Uno degli scampati, Leopold Studeny, definì Carugno “ il nostro protettore in tutti i momenti”. Giovannetti fornisce carte d’identità in bianco che sono intestate a nomi falsi.

Come falsi sono i timbri apposti sui documenti: riproducono lo stemma del Comune di Barletta, che era stato occupato dagli Alleati. Quei timbri li ha lavorati un incisore di Rimini, Pietro Angelini. Don Pasolini procura materassi, coperte, biancheria e pane biscottato preparato dalle suore Maestre Pie.

L’arrivo dei nazisti

Dopo due mesi, all’albergo di Giorgetti arrivano i nazisti. Gli ebrei sono trasferiti di notte ad Igea Marina, alla pensione Esperia. Pure lì giungono i tedeschi. Altro spostamento alla tenuta Torlonia di Cagnona di Bellaria. E di qui, nel dicembre 1943, per un’altra requisizione nazista, i profughi scappano alla pensione Italia di Gino Petrucci, dove sono presentati come “italiani all’estero” sfollati all’ultimo momento.

Gli Alleati s’avvicinano, ma i sospetti di fascisti e nazisti aumentano. Gli ebrei, su consiglio di Carugno, decidono di inoltrarsi verso l’interno, a Madonna di Pugliano (Pesaro).

Nel settembre 1944, ad un anno dall’inizio della loro odissea, sono liberati dagli Alleati, e trasferiti a Roma, dove rimangono sino al 2 giugno 1945, quando sono portati all’Ufficio

trasporti di Riccione.

Le carte d’identità

I 39 ebrei che Ezio Giorgetti ospitò nel suo albergo a Bellaria dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, riuscirono a salvarsi grazie a carte d’identità fornite loro da Virgilio Sacchini (1899-1994). La vicenda ci è rivelata per la prima volta dalla dottoressa Patrizia Sacchini D’Augusta, nipote di Virgilio.

Suo nonno in quei giorni era Commissario Prefettizio del Comune di Savignano sul Rubicone: “ Era fascista, ma era anche un uomo buono ed estremamente generoso ed è per questo che né lui né gli altri membri della sua famiglia furono oggetto di ritorsioni da parte dei partigiani del luogo”. Virgilio Sacchini mise al corrente del suo intervento a favore degli ebrei ‘bellariesi’ soltanto il proprio figlio Marino. Ascoltiamo ancora la dottoressa Patrizia Sacchini: “ La storia mi è stata raccontata diversi anni fa da mio padre, Marino Sacchini. Alla fine della guerra mio nonno, Virgilio Sacchini, Cavaliere della Corona D’Italia, confidò a mio padre di avere aiutato quel gruppo di ebrei, nel 1943, a fuggire e a raggiungere il Meridione. Si diceva felice che tutto avesse avuto termine, poiché aveva messo a repentaglio, con il suo gesto, la sicurezza della sua famiglia”. Prosegue la dottoressa Sacchini: “ Ezio Giorgetti (che, attraverso un amico comune, il signor Bertozzi, conosceva mio nonno) ottenne da mio nonno le famose carte d’identità in bianco che nell’articolo pubblicato dal Corriere di Rimini (22/01/2007) risulterebbero essere state fornite dal Segretario Comunale di San Mauro Pascoli, Alfredo Giovannetti. Le carte d’identità appartenevano al Comune di Savignano sul Rubicone e mio nonno, pur correndo un serio pericolo, per il ruolo che ricopriva, non esitò a metterle a disposizione del gruppo di ebrei.

Non so se questo fatto fosse noto al Maresciallo Osman Carugno, al signor Giovannetti e a don Emilio Pasolini, immagino che mio nonno avesse chiesto e ottenuto la garanzia del riserbo assoluto attorno al suo gesto.

Mi fa immenso piacere offrire questo piccolo contributo alla vostra ricerca. Ricordo mio nonno sempre con tanto affetto e, da convinta antifascista, lo ringrazio di aver contribuito alla salvezza di quel piccolo gruppo di ebrei”.

La nomina a “Giusto”

Giorgetti nel 1964 e Carugno nel 1985 sono definiti in Israele “Giusti fra le genti”. Questo riconoscimento, istituito nel 1963, è andato a 295 italiani sulle 17.433 persone di tutto il mondo che lo hanno ricevuto. I loro nomi compaiono sul Muro dell’Onore, nel Giardino dei Giusti della Fondazione Yad Vashem, a Gerusalemme. Yad Vashem, letteralmente “nome perpetuo” (cfr. Isaia 56, 5), è nata nel 1953 per il riconoscimento e la commemorazione di martiri ed eroi dell’Olocausto. Dopo la nomina a “Giusto”, a Giorgetti fu attribuita la cittadinanza onoraria di Givhat-Samuel, con una motivazione in cui tra l’altro si diceva: “ I sentimenti di debito, ammirazione e ringraziamento, provenienti dai cuori di quelli che sono sopravvissuti e costruirono il loro paese, mercé il suo intervento, sono testimoni al suo aiuto”.

La storia di una lettera

Mario Foschi ha scritto (in “Tin bota. I giorni della guerra”, 1996, pp. 104-105) che a Bellaria la gente sapeva della presenza di quegli ebrei. Il farmacista Giuseppe Olivi “ nell’esercizio della professione instaura un rapporto di reciproca stima” con gli ospiti, e in particolare “ con l’avvocato Ziga Neumann, capo spirituale del gruppo, diverse volte ospitato in famiglia”. A Olivi, Ziga Neumann lascia una lettera ritrovata in cassaforte dalla figlia del farmacista, Laura, alla morte del padre nel 1983. Dieci anni dopo Laura Olivi vola in Israele con un gruppo di turisti affidati a un accompagnatore che aveva combattuto in Italia con gli inglesi. A lui, Laura Olivi legge la lettera. L’israeliano scopre che è stata scritta da un parente di sua moglie. Come ha riferito Elisabetta Santandrea («La Città», Bellaria maggio 2002), Ziga Neumann era stato catturato dai tedeschi nel 1941 a Zagabria, e internato in un vicino campo di concentramento da cui fuggì con la moglie, la figlia Maia e il genero Josef Konforti. Insieme ripararono a Spalato, sulla costa dalmata e da lì, il primo agosto 1941, furono inviati con altri rifugiati ad Asolo.

Ziga Neumann nel 1963 dichiarò davanti a notaio che Ezio Giorgetti “ diede prova d’essere persona di carattere nobile, altruista e d’orientamento sociale e politico di stampo liberale. Divenimmo veri amici. Ezio si preoccupò di tutto: viveri e sicurezza”. Tra quanti fecero “ tacitamente barriera di protezione”, annota Foschi, in prima linea ci fu il maresciallo Osman Carugno che successivamente operò a Rimini.

Antonio Montanari