Home Attualita Discriminazioni: la parola ai riminesi di seconda generazione

Discriminazioni: la parola ai riminesi di seconda generazione

Quante battute, domande scomode e discriminazioni sono state indirizzate a coloro che sono considerati diversi, non solo per il colore della pelle e altre caratteristiche fisiche, ma anche per il nome o cognome considerato come ambiguo e strano, sicuramente non italiano. ‘Italiani di seconda generazione’ è l’appellativo utilizzato per tutti coloro che, nonostante siano nati in Italia, hanno uno o entrambi i genitori stranieri, immigrati per diversi motivi.

Ancora oggi molte persone storcono il naso non appena si rapportano con il diverso e, spesso e volentieri, sono proprio coloro che dovrebbero educare ad accogliere le differenze culturali presenti. Infatti non mancano all’appello insegnanti, educatori e perfino genitori a riempire con una carrellata di domande e commenti inappropriati adulti e non solo, soprattutto ragazzi. Ecco alcune testimonianze che denunciano questo fenomeno.

Barbara, 17 anni

“Il genitore di una mia amica doveva portarmi a casa dopo una serata trascorsa insieme. Salita in macchina eravamo da soli e suo padre non ha perso un secondo per chiedermi se fossi straniera o meno, affermando che era intuibile dal modo in cui parlavo. Io ho prontamente risposto che i miei genitori sono entrambi albanesi mentre io sono nata e cresciuta in Italia. L’uomo si è zittito, ha sogghignato e non mi ha più rivolto la parola per tutto il tragitto”.

Sara, 19 anni

“A causa del mio cognome di origini tunisine molte persone mi hanno associata ad un terrorista, soprattutto nel periodo coincidente con gli attentati che stavano colpendo l’Europa. Ho dovuto sentire e risentire per un lungo periodo di tempo battute pesanti, riguardanti anche la religione islamica. Venivo continuatamente derisa e

questo mi ha sempre ferita molto perché oltre a sentirmi giudicata, mi hanno eguagliata ad una realtà che non mi appartiene”.

Elijah, 17 anni

“Mi trovavo in un negozio assieme ad una mia amica, stavo semplicemente guardando un paio di scarpe e dopo poco ho deciso di uscire senza comprare nulla. A pochi passi dall’entrata la commessa mi ha rincorso intimandomi di fermarmi, io mi sono immobilizzato perché non ne capivo il motivo. Mi sono girato, lei mi ha guardato e, con un sospiro di sollievo ha detto “Ah no, non hai niente”. Ancora confuso ho ignorato l’accaduto senza farmi troppe domande, per poi realizzare che solo per il colore della mia pelle ero stato accusato di furto”.

Imar, 17 anni

“Passeggiavo in tutta tranquillità per le strade del centro storico, a Rimini, faceva caldo e oltre ai soliti indumenti estivi portavo un semplice borsello. Fatti pochi passi sono stato fermato da un uomo, era un agente in borghese che, senza nessun movente, ha iniziato a perquisirmi. Mi ha intimato di aprire il borsello dicendomi: “Dai, dai fammi vedere cos’hai qui dentro” e subito dopo si è allontanato con aria delusa. Pensava, forse, di trovarci della droga. Non era la prima volta che mi capitava, soprattutto non te lo aspetti mentre passeggi mano nella mano con tua sorella di 7 anni”.

Malik, 17 anni

“Ero sull’autobus con un mio amico, anche lui nero, ascoltavamo della musica a basso volume e due ragazzi ci hanno subito iniziato a guardare in malo modo e ad urlarci contro. Non si sono risparmiati insulti pesanti e parole offensive, tutte con il fine di denigrare il colore della nostra pelle. Appena scesi dal mezzo continuavamo a sentire i due ragazziche ci ‘abbaiavano’ contro, letteralmente”.

Come emerso, il pregiudizio precede ancora l’educazione e ostacola la riflessione. Quelle categorizzazioni che stagnano nell’immaginario collettivo ci allontanano dalla forza che potrebbe sbocciare nella conoscenza reciproca.

Carnagione, il suono del tuo cognome e nome, possono davvero pregiudicarti una strada permessa ad altri e prevalere sull’essenza della persona stessa.

Barbara Leskoviku