Home Vita della chiesa Tre giorni diocesana: chiesa in mezzo al guado

Tre giorni diocesana: chiesa in mezzo al guado

A 10 anni dall’avvio delle Zone Pastorali è ora opportuna una verifica del cammino fatto, dei frutti suscitati come delle difficoltà incontrate, sia nelle comunità sia nei presbiteri. Il cammino delle zone pastorali va inserito nel contesto di una Chiesa che fa la scelta dell’evangelizzazione e non della pura copertura dei servizi religiosi o del mantenimento dell’esistente. Su questo si sta confrontando il Presbiterio riminese. Abbiamo intervistato il relatore Don Roberto Laurita

Don Roberto, il tema che tratta è: Come passare da una Parrocchia che offre servizi religiosi ad una Comunità che propone percorsi e occasioni di evangelizzazione. Già, ma da dove partire?

“La prima parola chiave dell’esperienza cristiana è ‘ Vangelo’. L’esperienza cristiana è, fondamentalmente, l’esperienza di una notizia buona, del tutto insperata, quasi incredibile nella sua capacità di dirci cose nuove e di trasformarci. È un’esperienza di grande gioia. E qual è questa notizia? Dio viene incontro all’uomo per offrirgli la sua amicizia. Se abbiamo il vero concetto di Dio, della distanza che c’è tra lui e l’uomo, ci sembra incredibile che Dio venga incontro ad ogni uomo e a ogni donna di questo mondo offrendo la sua amicizia.

Eppure è questo il significato meraviglioso di ‘Vangelo’. È l’amicizia offerta da Dio all’uomo, senza badare ai meriti dell’uomo, alla sua bontà o alla sua cattiveria. A Dio non interessano soltanto le persone brave e oneste.

Anzi, ‘Vangelo’ significa esattamente il contrario: Dio si interessa di chi è più lontano, di chi è più solitario, amareggiato, di chi si sente abbandonato, perduto, triste, sfiduciato, privo di un avvenire. Dio offre la sua amicizia soprattutto a coloro che sono più lontani da lui e da se stessi, a coloro che maggiormente soffrono nella loro vita. L’esperienza fondamentale del cristianesimo non dipende da qualcosa che facciamo noi, sforzandoci di essere buoni, ma è l’iniziativa di Dio che ci salva, offrendoci il suo amore.

Dio, dunque, entra nella nostra storia, ma a modo suo…”.

Dunque un’idea profondamente diversa di Dio rispetto al sentimento comune in tanti…

“Il Dio che ci viene rivelato in Gesù non è un Dio che incarna le forze della natura e ci induce a riconoscerne il potere e a sottometterci. Non è neppure un Dio che ratifica la situazione esistente, l’ordine stabilito e ci invita ad accettarlo supinamente.

È piuttosto un Dio che entra nella storia per cambiarla, per offrire salvezza a tutta l’umanità. È un Dio che si schiera dalla parte dei poveri, degli abbandonati, degli oppressi. È dentro questo tessuto, in questo contesto fatto di potere e di sottomissione, di lacrime e di gioie, di violenza e di speranza, che Dio ha deciso di entrare. qui che ogni uomo è invitato a cogliere la salvezza di Dio! Questo tempo e questi luoghi diventano il luogo scelto da Dio per rivelare il suo amore, per fare grazia, per offrire misericordia e pace”.

Non è proprio semplice entrare in una logica di cambiamento, che pur tutti ritengono necessaria, se non si sa verso cosa andare… “La parrocchia è nata come ‘ servizio pubblico’ offerto a tutti coloro che vivono sul suo territorio. Il fatto che sia legata e fondata sul territorio fa sì che obbedisca prima di tutto ad una logica di ‘servizio’ offerto alla totalità dei residenti. Non è casuale, infatti, il linguaggio del diritto canonico che fa riferimento alle ‘anime’ della parrocchia e ne rileva il numero di componenti prendendo come parametro effettivo quello degli abitanti.

Da questa strutturazione nasce un impianto che fornisce prestazioni fondamentali a tutti coloro che abitano in una determinata circoscrizione. Un ‘servizio pubblico’, quello realizzato, che va dal rilascio di certificati alla preparazione ai sacramenti, dalla celebrazione delle Messe allo svolgimento della catechesi, dalle visite ai malati alla benedizione delle famiglie… Un quadro complesso che investe direttamente il parroco, i suoi collaboratori ed un gran numero di operatori pastorali.

La parrocchia ha continuato per secoli su questo binario, offrendo un aiuto sicuro e costante a tutti quelli che vi hanno fatto ricorso, dai praticanti agli occasionali, dai fedeli ai cristiani della soglia e ai lontani”.

Questo assetto oggi è messo in discussione.

“È vero, infatti emerge un altro ‘impianto’, che è quello che fa più diretto riferimento alla nozione di ‘ comunità cristiana’ e che si fonda su un’appartenenza chiara, su scelte di fondo, su comportamenti ed atteggiamenti ben definiti. Per la Chiesa Italiana non si tratta di una novità. Già negli anni Sessanta, con il piano pastorale

Evangelizzazione e Sacramenti, si è cercato di fare riferimento alla fede, ad una fede cristiana sostenuta dalla Parola e dai Sacramenti, per sostenere l’appartenenza alla Chiesa e la costruzione di un’autentica comunità cristiana. Non è solo il vocabolario a cambiare: si evoca la ‘Parola’ e non solo i “riti”; si parla di ‘feste’, ma le si considera come ‘celebrazioni legate alla fede’; si manifesta un’attenzione sempre più crescente per l’esistenza, come luogo effettivo in cui mostrare la propria identità”.

Qual è il rischio?

“Che si abbandoni del tutto il sistema ‘servizio pubblico’, oneroso e piuttosto avaro di soddisfazioni e gratificazioni, a tutto vantaggio di un piccolo gruppo di cristiani, tanto ardente quanto ristretto, tanto motivato quanto numericamente poco consistente, tanto determinato quanto irrisorio nella sua efficacia sociale… Che si passi da una Chiesa ‘multitudinista”’, aperta a tutti, con porte e finestre spalancate, ad un gruppo di tipo ‘settario’, che offre certamente molto calore, ma a prezzo di una sostanziale chiusura nei confronti dell’esterno”.

Ci troviamo in mezzo al guado.

“È la situazione che stanno vivendo molte parrocchie e, con esse, i loro pastori. Da una parte ci si rende conto che non è più possibile limitarsi ad ‘attendere’ in canonica coloro che vengono a richiedere determinate ‘prestazioni’, né limitarsi a fornire alcuni servizi essenziali, istituzionali, come la liturgia e la catechesi. Si tratta di raggiungere le persone lì dove si trovano a vivere, con modalità e stile diversi, assecondando attese, desideri che spesso devono essere destati, accettando di mettersi in ascolto dei loro problemi, delle loro fatiche e delle loro sofferenze.

D’altro canto, tuttavia, ci si avvede di come una comunità costruita sull’adesione di pochi, pur molto motivati, sia, tutto sommato, una realtà povera, che si chiude in se stessa e non raggiunge quanti si trovano un po’ distanti da essa.

Cosa scegliere? A quale ‘modello’ di parrocchia obbedire? E che cosa sopprimere, dal momento che i due assetti non possono essere tenuti insieme? Si tratta sicuramente di decisioni difficili, alle quali bisogna rispondere con grande saggezza e solo dopo aver avviato, a livello ecclesiale, un’autentica ricerca ed una profonda concertazione”.

La gente non crede più in nulla, ma contemporaneamente sembrano aver successo forme alternative di religione, quasi che la fede cristiana fosse priva di spiritualità e di forza intrinseca capace di dare un significato alla vita.

“C’è qualcosa da abbandonare, e questa scelta ha un prezzo talora molto alto: abbandonare la logica del bisogno, da soddisfare immediatamente (‘tutto e subito’) per entrare piuttosto nella logica del desiderio. Il bisogno non sopporta la prova del tempo e della distanza, e dunque dell’attesa, della ricerca, dell’incontro, di una crescita progressiva. Guidato da un dinamismo divorante, vuole annullare la separazione, la differenza, con l’intento di possedere gli altri e anche Dio.

La fede è invece percorsa dal desiderio che accetta la presenza, ma anche l’assenza di Dio, la sua vicinanza e la sua diversità. Egli è il ‘ Dio con noi’, ma anche il ‘ totalmente Altro’, colui che ci viene incontro per amore ma resta sovranamente libero e non si lascia imprigionare dai nostri pregiudizi e preconcetti, né si lascia appiccicare le maschere che gli abbiamo costruito.

Non è il dubbio ad uccidere la fede.

Anzi, nella misura in cui tiene desta la voglia di cercare una risposta a domande profonde, esso – quasi paradossalmente – contribuisce a tener in vita il rapporto con Dio attraverso Gesù. Quello che uccide veramente la fede è l’assenza di desiderio. Quando, davanti alla Scrittura, non si hanno domande da porre… Quando i fatti della vita quotidiana, della piccola e grande storia che stiamo costruendo, non suscitano interrogativi… Quando non sale dal nostro cuore un’invocazione a Dio, per avere più luce, più saggezza, più forza…Quando non si avverte la mancanza di una Presenza, di una Parola… allora sì la fede sta languendo ed è ormai prossima alla morte.

La parola ‘ relazione’ è una chiave importante della nostra esperienza di Dio. Ci evita fraintendimenti pericolosi, ci vaccina da illusioni cocenti.

Per cogliere ciò che è in gioco basta evocare ciò che è il contrario della ‘relazione’ e cioè l’idolo, il bisogno di un’esperienza magica di Dio.

L’idolo rappresenta una tentazione terribile proprio perché sembra risparmiarci la fatica della relazione.

Non occorre più ascoltare e rispondere, tentare di vivere secondo quell’amore che ci ha accolti. D’un colpo la distanza viene di colpo annullata.

Portare con sé l’idolo, toccarlo, fa credere di avere accesso ad una relazione facile, immediata, sicura con Dio. È solo un’illusione. Quell’idolo, a consistenza metallica o cartacea, oggetto prezioso o modesto, non può sostituire quella Presenza che è libera, gratuita e che domanda non una risposta occasionale, ma uno slancio d’amore che investe tutta la nostra esistenza”.

Si parla tanto di nuova evangelizzazione, ma le forme tradizionali di catechesi sono in seria difficoltà. Le persone, ed in particolare i giovani e le nuove famiglie, non sembrano avvertire alcun bisogno di ricevere il Vangelo…

“La sfida, in effetti, è tutta qui. Prima di imbandire la tavola preparando un gran numero di pietanze dobbiamo chiederci se coloro che abbiamo davanti hanno appetito oppure sono reduci da una terribile influenza intestinale e quindi non possono vedere neanche il riso bollito… La Chiesa italiana ha prodotto testi catechistici di grande profondità e bellezza. Ho la convinzione che nulla di tutto ciò che si trova navigando in internet o percorrendo i sussidi catechistici prodotti dalle diverse case editrici uguagli quello che è stato offerto dai vescovi alle nostre parrocchie.

Ma oggi avvertiamo la necessità impellente di dare voce a quello che ‘viene prima’, di destare il desiderio, l’attesa, l’ascolto, di partire dalle prove della vita e della fede. In una parola, si tratta di suscitare domande, domande serie, consistenti, talora lancinanti e di partire da lì per cercare insieme le risposte. Non si tratta di fornire un pesce già pronto da mangiare, ma di mettere in mano a ragazzi, giovani e adulti una canna da pesca perché imparino a pescare, se hanno voglia di pescare.

Per fare questo, però, dobbiamo liberarci dalla fretta e dalla voglia di avere a disposizione una bacchetta magica.

Ci vuole esattamente l’opposto: una grande pazienza nell’ascolto e la disponibilità ad entrare dentro ‘processi’ che non possiamo padroneggiare o condurre come e dove vogliamo noi. Dobbiamo starci dentro del tutto disarmati, con la sola forza della fede, nutriti della Parola di Dio e disposti a lasciarci guidare dallo Spirito”