Home Cultura Dica Trentanove. E lo stucco divenne arte

Dica Trentanove. E lo stucco divenne arte

Un artista vero. Forse l’unico
vero artista riminese del Settecento, la cui arte ha prodotto “opere strepitose” che si possono ammirare ancora oggi a Rimini nelle Chiese dei Servi, di San Giovanni Battista e di San Bernardino. Tanto bravo quanto poco considerato.
Per gettare nuova luce su Antonio Trentanove, questo il nome e cognome dell’artista in questione, il noto storico dell’arte riminese Pier Giorgio Pasini ha rimesso mano a vecchi studi e scritti mai pubblicati. Da qui l’incontro“Antonio Trentanove. Il Trionfo dello Stucco”, andato in scena venerdì scorso a palazzo Buonadrata, nono appuntamento del ciclo “I Maestri e il Tempo. Letture inedite di artisti e opere a Rimini dal Medioevo al Novecento”, a cura di Alessandro Giovanardi e organizzato dalla Fondazione Carim. “I Maestri e il Tempo” vengono trasmessi da Newsrimini.TV (canale 614) ogni martedì alle ore 21,15.
Pasini è riconosciuto come uno dei più noti e competenti storici dell’arte contemporanei, un appassionato studioso, a cui va dato il merito, tra i tanti, di aver saputo valorizzare e diffondere la cultura, l’arte e la storia del territorio riminese e romagnolo dall’Età romana al Novecento.
Perché Antonio Trentanove, scultore riminese e maestro del barocco? “In tempi ormai lontani ho compiuto alcune ricerche sulla scultura del Settecento a Rimini, i cui risultati non ho mai pubblicato per varie ragioni. – scrive Pasini – Ora ho fortunosamente ritrovato i vecchi appunti, che provo a collegare e ad esporre cercando di dare un senso ad un lavoro rimasto in sospeso per troppi anni, ma che può avere ancora qualche interesse per alcune novità che gettano luce sull’attività di Antonio Trentanove, un grande artista poco considerato”. Artista geniale, fantasioso, pittoresco, barocco più di tutti gli altri, e per tutta la vita fedele alle fantasie e alle grazie rococò, per Pasini “è stato forse l’unico vero artista riminese del Settecento”Il Trentanove era cresciuto alla scuola dei grandi stuccatori-decoratori bolognesi ed è stato attivo fra Romagna, Marche e Toscana tanto in grandi cattedrali quanto in piccole chiese, tanto in teatri pubblici quanto in palazzi privati. Pare sia nato nel 1739 in una famiglia numerosa. A sua volta ebbe una famiglia numerosa, e visse i tempi difficili dell’invasione napoleonica, sempre alla ricerca di lavoro, difficile da trovare soprattutto quando i giacobini interruppero i cantieri ecclesiastici e soppressero le istituzioni monastiche. Ormai anziano, e grazie all’adesione, non si sa quanto convinta, ai princìpi giacobini, nel 1804 trovò un impiego stabile all’Accademia di Carrara, dove secondo gli storici riminesi avrebbe insegnato “disegno e scultura”. Carrara: un sogno per uno scultore. Da lì erano venuti i marmi per i capolavori di Michelangelo e del Bernini, da lì venivano i marmi per le applauditissime opere del Canova.
Il Trentanove però non è mai stato uno scultore, ma un plasticatore, uno stuccatore. E in realtà a Carrara non ha mai fatto lo scultore, né “l’insegnante di disegno e scultura”. Bensì il semplice inserviente, il custode-bidello dei calchi in gesso dell’Accademia, “coll’annuo assegno di 1.500 lire”. Non era un incarico granché onorevole, ma dobbiamo riconoscere che non si poteva far fare altro a un artista ormai decisamente “fuori moda”: siamo infatti in un tempo di neoclassicismo trionfante ed esclusivo. A Carrara morì, sembra nel 1812, con la soddisfazione di vedere il figlio Raimondo (nato nel 1792) felicemente iniziare la carriera dell’artista “moderno” sulle orme del grande Canova.

Tommaso Cevoli