Home Vita della chiesa Dall’Eucaristia il fuoco per la Missione

Dall’Eucaristia il fuoco per la Missione

In una Basilica Cattedrale gremita, con persone anche all’esterno a seguire la celebrazione dagli schermi sul sagrato, il vescovo Lambiasi ha rilanciato con vigore la Missione straordinaria che la Diocesi vivrà a partire dall’inizio del prossimo anno pastorale. Nell’omelia il vescovo ha messo in parallelo i due vocaboli:”missa” (messa) e “missio” (missione). Il valore della missione è stato poi declinato in quattro passaggi: non c’è missione senza comunità, non c’è missione senza dialogo, non c’è missione senza testimonianza, non c’è missione senza gioia. Questo il testo integrale.

Messa e Missione: sono due parole gemelle, generate dalla stessa madre lingua latina, nella quale risulta ancora più stretta la reciproca parentela filologica, come si desume dalla forte assonanza tra i due vocaboli latini: “missa” e “missio”. Questo cordone etimologico lascia immaginare una relazione simbiotica: messa o eucaristia e missione o evangelizzazione scaturiscono dalla comune matrice evangelica e comunicano in trasparenza – anche se con linguaggi diversi – lo stesso messaggio di salvezza. In effetti nascono da due rispettivi comandi di Gesù: l’eucaristia, dalle parole imperative pronunciate dal Signore nella penombra del cenacolo, la sera in cui veniva tradito, dopo aver spezzato il pane e distribuito il calice tra i Dodici: “Fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24.25). D’altra parte, il mandato missionario è stato conferito dal Risorto – sotto la volta del cielo, dall’alto del monte in Galilea, da dove la vista spaziava verso i quattro punti cardinali – agli Undici appositamente convocati per l’ultima consegna: ”Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19).

1. Da questi due comandi sgorgano rispettivamente due liturgie: quella eucaristica e quella missionaria.Sono due liturgie strettamente connesse, indivisibili. E’ vero: di solito, si riserva la parola ”liturgia” all’eucaristia, ma san Paolo parla di liturgia anche per indicare l’evangelizzazione. Ad esempio, nella Lettera ai Romani l’apostolo presenta la sua carta di identità con un linguaggio marcatamente cultuale – usato a proposito di atti che non hanno nulla di rituale, quando si autodefinisce ”sacerdote dell’evangelo”, ”ministro (liturgo) di Cristo Gesù tra le genti, che adempie il sacro ministero (il sacerdozio) di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’oblazione (offerta sacrificale) gradita, santificata dallo Spirito Santo” (Rm 15,16).
Pertanto due comandi, due liturgie, ma un solo, identico mistero: quello di Gesù nella sua Pasqua di morte e risurrezione. Già da queste prime battute, possiamo fissare un punto di non-ritorno: non c’è eucaristia senza missione; non c’è missione senza eucaristia. In altri termini, se l’eucaristia senza la missione sarebbe fatalmente sterile, la missione senza l’eucaristia risulterebbe praticamente impossibile. Il Concilio lo aveva affermato con parole nette: l’eucaristia è ”fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (PO 5), e ne rappresenta il modello paradigmatico e lo statuto fondamentale. Vorrei allora ripercorrere a grandi tratti la struttura della messa e mostrare come ne risulti strutturata la stessa missione della Chiesa. Articolo la riflessione in quattro passaggi.

2. Non c’è missione senza comunità.
L’assemblea che si raduna per celebrare l’eucaristia non è data dalla somma dei fedeli che pregano individualmente e si aggiungono gli uni agli altri. La comunità eucaristica non è il semplice frutto dell’umano stare insieme, né si basa su una unità puramente psicologica o sociologica. Dall’eucaristia nasce una comunione spirituale, nel senso più forte del termine: una comunione ”nello Spirito Santo”, il quale riunisce i figli di Dio dispersi, abbatte ogni barriera di divisione, ristabilisce il circuito dell’amore nell’unico corpo di Cristo, apre alla Chiesa locale e universale, spalanca le porte del cenacolo sul mondo intero.

L’eucaristia educa alla comunione. La comunità liturgica non si autoraduna per una volontà collettiva: è piuttosto un’assemblea di chiamati e di convocati che rispondono alla voce dell’unico Signore. L’assemblea ecclesiale è sempre una risposta. Non comincia con se stessa: è sempre preceduta dall’azione salvante del Crocifisso-Risorto. E come per la celebrazione il presbitero o il vescovo sono i ministri dell’eucaristia, non i suoi proprietari, così per la missione essi ne sono i servi, non i piloti o i manovratori. Solo da una liturgia vera, non formale, possono uscire cristiani che siano missionari veri e non formali. Un’assemblea liturgica impropria proietta una impropria figura di Chiesa e comunica una scorretta immagine di missione.

. Non c’è missione senza dialogo. La liturgia della Parola rappresenta un momento fondamentale del dialogo della salvezza che Dio instaura con il suo popolo. La Chiesa nasce dall’annuncio del Vangelo, cresce con il nutrimento della Parola, vive ed opera per evangelizzare il mondo. A Dio che ha parlato, l’assemblea liturgica replica anzitutto con il salmo, nella convinzione che ”solo Dio parla bene a Dio” (Pascal). L’assemblea risponde poi con il Credo, esprimendo la volontà di conformare la vita a ciò che crede e l’impegno di investire nella missione ogni sua forza, ogni sua disponibilità. E in questa prospettiva di dialogo tra Dio e il suo popolo assume speciale rilievo la preghiera dei fedeli, nella quale ”il popolo, esercitando la sua funzione sacerdotale, prega per tutta l’umanità” (IGMR 45).

L’eucaristia educa alla comunicazione. Inserendoci nel dialogo iniziato da Dio nella storia della salvezza, nelle sue caratteristiche di gratuità, di accoglienza, di apertura per ogni persona, la comunità cristiana impara a dialogare con il mondo e a “rendere ragione della speranza” che la abita (cfr 1Pt 3,15). Il dialogo leale, l’ascolto disponibile, l’accoglienza ospitale con quanti hanno una fede diversa o non hanno alcuna fede – oppure desiderano riscoprire e rinnovare l’adesione al messaggio cristiano – si collocano già pienamente nel quadro dell’annuncio, e anzi ne costituiscono la necessaria premessa (cfr EN 17).

4. Non c’è missione senza testimonianza. Dicendo: ”Fate questo in memoria di me”, Cristo non ha chiesto la pura ripetizione di un gesto rituale. Ha chiesto di farlo come l’ha fatto lui, assumendo i sentimenti che furono i suoi, modellandosi sulla sua autodonazione. Corpo offerto, sangue versato: queste espressioni richiamano la miseria che avvelena il mondo: tutte le persone oppresse, violentate, sfruttate, emarginate, come i lebbrosi di ieri e di oggi… Corpo offerto, sangue versato: nella vicenda di Gesù queste espressioni si infiammano e prendono luce: affermano la misericordia dell’amore più grande, scrivono l’offerta di un amore possibile nonostante tutto, l’amore stesso di Dio. Di una vita che gli veniva violentemente strappata, Gesù ne ha fatto una vita gratuitamente offerta e versata in dono. Nell’eucaristia la Chiesa, raccolta attorno al Cristo pasquale, riceve il dono del suo amore oblativo, e poi viene rilanciata per le strade del mondo, per essere segno della sua presenza di buon samaritano, nei confronti delle necessità e delle sofferenze dei fratelli, a cominciare dai più poveri.

L’eucaristia educa alla testimonianza. I missionari o sono dei testimoni della fede o sono dei dimissionari dalla fede. E la testimonianza si dà con la vita, non con le prediche. La testimonianza è l’esperanto della missione: parla sempre, a tutti, dovunque, comunque. Ma oggi la gente non vuole tanto sentir parlare di Cristo, piuttosto lo vuole vedere, ma più che nelle statue, nei quadri o nei film, lo vuole vedere nella nostra vita. Domandiamoci allora: cosa dice la gente di noi cristiani: “I cristiani sono quelli che vanno a messa”? Oppure la nostra vita è per loro segno di stupore, e li stimola a chiedersi: ”Ma questi cristiani perché si comportano così? Perché non pensano solo ai soldi o alla carriera? Perché dedicano energie e tempo al bene di tutti? Perché sono capaci di gratuità, di comprensione, e di perdono? Perché compiono il loro dovere senza cercare applausi e gratifiche? Perché hanno il coraggio di non seguire l’andazzo generale? Perché sono leali, onesti, altruisti e così umani, anche a costo di rimetterci?”. La missione non è una cosa da fare; è un modo di essere. Il missionario cristiano non è tanto uno che racconta di Cristo, ma uno in cui Cristo si racconta.

5. Non c’è missione senza gioia. I riti finali della messa, detti del congedo, in verità più che un commiato offrono un invito: sono un invio, non un addio. In effetti lafine della messa, ne rappresenta il fine, cioè la missione: a messa si entra discepoli e si esce missionari: ”Andate e portate a tutti la gioia del Cristo risorto”. Ritorniamo all’inizio: la missione non è tangente alla messa; ne è al cuore!

L’eucaristia educa alla gioia della missione. Rileggiamo ancora una volta le parole scolpite da papa Francesco sul frontespizio dell’Evangelii Gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia” (n. 1). Ma si può annunciare il Vangelo della gioia senza la gioia del Vangelo? E, d’altra parte – è sempre il vescovo di Roma che ci pungola – si può annunciare la gioia del Vangelo con una faccia da funerale? Ma allora a cosa si ridurrebbe il Giubileo della misericordia indetto dal Papa e che provvidenzialmente coincide con la nostra missione diocesana?

+ Francesco Lambiasi