Home Attualita Così ci si inventa “startupper”

Così ci si inventa “startupper”

È sempre bello poter raccontare la storia di giovani, anzi giovanissimi, imprenditori di successo, soprattutto se di uno Stato che fa ancora poco per loro (l’Italia) e di un territorio che non ha una grande tradizione di imprese ad alto contenuto innovativo (la Romagna). “Siamo sempre stati ambiziosi e abbiamo sempre voluto fare qualcosa di non convenzionale”. Questa l’estrema sintesi della ricetta per il successo di Massimo Caroli e Riccardo Fuzzi, cesenati classe 1991, creatori della app MyAppFreeche ha appena raggiunto la soglia di 1 milione di download. In tempi in cui alla parola “giovani” si accosta sovente quella di “scoraggiati”, i due avevano un sogno e si sono inventati un mestiere.
Il loro progetto è stato scelto dal TIM #Wcap Accelerator, tra le migliori 40 startup d’Italia. Dopo un periodo di crescita in un’azienda digitale di San Marino, i due CEO (così li chiamano i capi in America), insieme ad altri due collaboratori, sono stati inglobati dall’incubatore bolognese di Telecom dove vengono aiutati a svilupparsi ulteriormente col supporto di tutor e un finanziamento da 25.000 euro.

Ragazzi, come mai Telecom ha deciso di investire proprio sul vostro progetto?
“Eravamo più avanti rispetto ad altri candidati perché il nostro prodotto funzionava già sul mercato. La app è presente su un milione di dispositivi in 80 paesi diversi. L’obiettivo di Telecom è quello di sviluppare un parco aziende che possa rispondere alle loro esigenze, e noi siamo in grado di farlo attraverso il nostro ambito, il digital marketing”.

La vostra app è stata sviluppata per Windows. Molti nostri lettori sono alle prese in questo periodo con l’installazione dell’ultima versione per la prima volta gratuita: Windows 10. Che rivoluzione rappresenta?
“Siamo di fronte a una svolta. Windows 10 è il primo sistema operativo che funziona allo stesso tempo su pc, smartphone e tablet. Per l’utente questo significa avere tutti i dispositivi sincronizzati in un ambiente unico; cominciare una cosa sul telefono e proseguirla sul computer. Per uno sviluppatore significa produrre un’applicazione che funzioni contemporaneamente su tutti i dispositivi”.

Cosa farete a Bologna?
“Continueremo a sviluppare l’ecosistema che gravita attorno alla nostra app e ci proporremo a realtà importanti che hanno bisogno di svecchiarsi dal punto di vista del marketing. Ma il progetto è top secret. Se avessimo la bacchetta magica ci servirebbero tre sedi (in Italia, nella Silicon Valley e a Londra) e più dipendenti. L’obiettivo? Diventare leader nel digital marketing a 360 gradi”.

Molti non capiscono il vostro mestiere…
“Non abbiamo molti amici che abbiano seguito il nostro stesso percorso. Chi non è dentro a questo mondo fa fatica a capire cosa facciamo. Basti pensare che fino a tre anni fa nessuno conosceva il termine startup, mentre in America è utilizzato sin dalla fine degli Anni 90. L’Italia è ancora indietro nell’investire in questi tipi di realtà, seppure siano determinanti per la crescita. Basti pensare che Google e Facebook erano delle startup”.

Cosa significa fare lo startupper, inventarsi un lavoro?
“È molto gratificante fare un mestiere che ci si è cuciti addosso. Le ore volano, e in un attimo è già sera. Per noi non esiste fare il conto alla rovescia al venerdì, come capita a tanti. Anche perché per noi non esiste il weekend. Il nostro servizio è erogato in tutto il mondo 365 giorni l’anno, 24 ore al giorno. Non siamo un negozio che chiude ad una certa ora”.

Quindi quest’estate niente ferie?
“Ci organizziamo a turni, e se andiamo in vacanza il pc è nello zaino. Dobbiamo essere sempre reperibili. Ma il bello del nostro mestiere è che lo si può fare anche da un trullo. Basta avere il wi-fi”.

Mirco Paganelli