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Corpo e anima, l’arte integrale

Una visione integrale della vita umana estremamente attuale. È quella che arriva dall’arte di Cagnacci e Bernini, le cui opere offrono una potente spinta a non separare i due aspetti fondamentali della nostra vita: l’anima e il corpo. “La loro arte ha gettato un ponte tra queste due realtà, con una notevole libertà rispetto alla Chiesa e all’opinione dominante”. Parola di Tomaso Montanari, lo storico dell’arte che ha fatto tappa nell’arte barocca, tra la carnalità, la raffinatezza e la monumentalità dello scultore più rappresentativo dell’epoca: Gian Lorenzo Bernini, nel viaggio culturale della rassegna “I Maestri e il Tempo. Arte e Pensiero a Rimini, tra l’Europa e l’Oriente”, organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini.
Montanari, uno degli storici d’arte emergenti e attualmente più conosciuti, centra la sua dissertazione sull’estasi, “Ma prima di analizzare le opere, pensiamo a che cos’è l’estasi”<+testo_band> attacca Montanari, che per dare una risposta alla sua domanda ha digitato il termine nella sezione dedicata alle immagini di Google. Alla platea sono apparse una serie di figure femminili in atteggiamenti sensuali, miscelate a opere d’arte quasi esclusivamente del Seicento: <+cors>“Questa commistione non è un’eresia post-moderna. – spiega Montanari – Il termine estasi, infatti, unisce un significato mistico-religioso a un significato fisico. L’estasi è un tema trasversale: certamente legato alla fede, ma per la sua insita ambiguità, legato anche alla dimensione terrena. Allo stesso modo le opere di Bernini rivelano una potente spinta a non separare i due aspetti fondamentali della nostra vita: l’anima e il corpo”.
Dal 1623 il 25enne Gian Lorenzo Bernini iniziò a lavorare per Urbano VIII, pontefice ambizioso e amante delle arti. Grande ammiratore di Bernini, lo considerava l’artista ideale per realizzare i suoi progetti urbanistici e architettonici. Lo scultore avrebbe potuto lavorare per altri committenti soltanto dietro dispensa papale, ma nel 1644 Urbano VIII muore e nel 1647 il cardinale Federico Cornaro affida a Bernini la parte architettonica e quella scultorea della cappella funeraria della propria famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria. In quest’opera Bernini trasformerà, in senso letterale, lo spazio in un teatro in cui i visitatori diventano spettatori dello spettacolo sopra l’altare: la scena dell’estasi di santa Teresa d’Avila. “Lo scopo dell’intera cappella è produrre l’illusione di assistere, qui e ora, a quanto sta avvenendo sull’altare” dice lo storico dell’arte. La santa e il cherubino sono scolpiti da un unico tocco di marmo di Carrara e tutto il corpo della santa si contrae. L’angelo trafigge il cuore di Teresa con una lancia, lasciandola infiammata dall’amor di Dio. Il dolore cocente di Teresa è visibile: non è un dolore fisico ma spirituale, eppure il corpo ne duole. “La sintesi di Bernini, che nella bellissima giovane che muore d’amore contorcendosi a mezz’aria riesce a riprodurre il momento drammatico dell’estasi e la misteriosa sensualità dell’esperienza mistica, è geniale”.
Sono quattro i momenti che Bernini fonde nell’opera: la transverberazione, la levitazione, la morte e il mistico matrimonio con Cristo. “Per quanto riguarda l’ultimo dei quattro, il matrimonio con Cristo, Bernini sapeva bene dove fermarsi”. Infatti, lo scultore non poteva inserire nella scultura il Cristo stesso, che sarebbe risultato ambiguo, “però inserisce una frase in latino, retta da angeli, che recita: Se non avessi creato il paradiso, ora lo farei solo per te. Un’asserzione d’amore per Teresa”.
Il sole piove sull’altare della Cappella Cornaro attraverso accessi volutamente predisposti dall’architetto Bernini, illuminando l’altare in un determinato modo e abbracciando il gruppo marmoreo. Bernini, autore anche della Fontana del Tritone, della Fontana del Moro e della Fontana dei Fumi, domina la luce come domina l’acqua e “anche grazie al riverbero riesce a bloccare l’attimo transeunte in cui, nel volto della carmelitana scalza, si fondono in modo inestricabile piacere e dolore”.
Ma come giudicavano la cappella i contemporanei di Bernini? Noi guardiamo sempre l’arte attraverso la lente della contemporaneità, ma all’epoca furono mosse a Bernini le stesse critiche che settant’anni prima erano state fatte a Caravaggio, che utilizzava come modelle per le sue Madonne delle prostitute. “Bernini nella sua opera esorta a non separare la dimensione religiosa dalla dimensione terrena. Ha gettato un ponte tra queste due realtà, con una notevole libertà rispetto alla Chiesa e all’opinione dominante. Questa visione integrale della vita umana è lungimirante”.
Forse lungimirante anche rispetto ad oggi, che viviamo in un’epoca “che separa la carne e lo spirito e ha finito per perdere entrambi”.

Genny Bronzetti