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Con gli occhi dell’Islam

È facile per noi occidentali fare congetture su come dovrebbe reagire il mondo islamico di fronte agli attentati terroristici e pretendere che i cosiddetti musulmani “moderati”, quelli considerati pacifici, si dissocino dalle azioni degli jihadisti. È facile rispondere con la via militare per esportare la democrazia nei paesi mediorientali senza immaginare uno scenario post-bellico, e senza coltivare a casa nostra una cultura dell’integrazione. Nel recente incontro presso la Diocesi di Rimini promosso del centro culturale “Il Portico del Vasaio”, l’ospite d’onore Wael Farouq, docente di lingua araba presso l’Università del Cairo e la Cattolica di Milano, ha portato il suo punto di vista da musulmano sul dialogo interculturale all’indomani delle stragi di Parigi.

Professor Farouq, come risponde a chi è diffidente sulla possibile convivenza tra mondo occidentale e mondo islamico?
“Il problema è mal posto. Non si deve pensare alla convivenza fra due mondi, la qual cosa sarebbe impossibile, ma fra persone. Sia nel mondo occidentale che in quello musulmano, le persone hanno lo stesso cuore umano che necessita l’uno dell’altro. La convivenza non è una speranza, ma realtà. Il problema è che non c’è testimonianza vissuta di convivenza. All’Università Cattolica c’è un gruppo di studenti fatto di musulmani e cristiani che stanno vivendo qualcosa di straordinario. Sono partiti non dalla religione o da una ideologia, ma dal bisogno della persona umana”.

È utopico estendere questo modello?
“Ad ostacolarlo c’è la crisi di identità e di valori del mondo Occidentale. Il liberalismo è arrivato in Medio Oriente con il colonialismo; la lunga tirannia dell’Occidente ha diffamato il concetto di libertà. E così, un valore è diventato forma senza significato. Il problema è che ad incontrarsi devono essere le persone, non le forme”.

Durante la conferenza, lei è tornato più volte sul concetto di amore. Qual è il suo ruolo nell’incontro fra persone?
“Se un amore è cieco non si riescono a vedere i difetti dell’altro. Il vero innamoramento richiede capacità di discernimento; solo così si è in grado di vedere l’umanità dietro i difetti, che non rappresentano più un ostacolo nell’incontro con l’altro. Questa è la speranza per l’incontro tra persone arabe e occidentali. L’amore è una cosa molto realistica che ci permette di capire, in questo caso, quante false informazioni riceviamo sull’Isis”.

Ad esempio?
“L’Isis non può funzionare se non c’è qualcuno che gli compra il petrolio o gli vende le armi. Secondo rapporti dell’Onu, sono gli americani stessi a vendergliele, questi sono fatti. Nessuno, poi, condanna il Qatar che lo appoggia, perché l’Europa è riscaldata dal suo gas. Nessuno pensa al wahabismo, che è la dottrina sia dell’Isis che del più grande alleato dell’Occidente, l’Arabia Saudita, che lo rifornisce di petrolio. Così un giorno gridiamo Je suis Charlie a Parigi e pochi giorni dopo siamo ai funerali del re saudita a Riyad. Questa è ipocrisia. Ideologia senza contenuto. Quando la persona è meno importante della forma, allora si arriva ad ucciderla (o la persona stessa desidera di morire perché la forma è più importante). Tutti i media riportano la religione come fonte degli assassini dell’Isis. Lo sento dire anche dai preti che incontro: Anche i cristiani uccidevano in nome di Dio, dicono, e grazie all’Illuminismo non lo fanno più. Che falsità! Negli ultimi cento anni, lo stato laico occidentale ha ucciso più di tutti gli altri della storia umana”.

L’Occidente si dice in cerca dell’appoggio dei “musulmani moderati”. Che ne pensa di questa definizione? Anche qui c’è dell’ipocrisia?
“Non mi piace parlare di musulmani moderati come non mi piace parlare di musulmani estremisti. È una semplificazione pericolosa, del tipo buoni o cattivi. Più pericoloso di uno scontro fra stereotipi è il dialogo fra stereotipi, perché non c’è mai verità, ma solo menzogna. Un rapporto umano deve basarsi sulla sincerità. Io sono musulmano, so che posso non credere che Gesù Cristo sia il figlio di Dio, ma se un cristiano mi ama… quello è qualcosa che non posso negare, è evidente. E mi tocca il cuore”.

All’indomani delle stragi, in molti chiedevano ai musulmani di condannare quei fatti. Cosa ne pensa?
“Dicono che il mondo islamico non abbia condannato gli attentati, ma non è vero. Non c’è leader che non lo abbia fatto. Ma in ogni caso serve a poco, è solo un modo per lavarsi la coscienza: noi condanniamo e loro continuano ad uccidere. Il problema resta irrisolto. La religione musulmana, poi, viene considerata responsabile di queste stragi. Ma come è possibile dare un giudizio su una comunità di un miliardo e mezzo di persone senza averne conosciuta nessuna? Il problema attorno al caso di Charlie Hebdo è il vuoto. Non siamo più protagonisti del nostro tempo”.

Si spieghi meglio…
“Viviamo in un tempo di valori come slogan e non di valori vissuti. L’uomo esiste, ma essere è un’altra cosa. La tecnologia stessa non ci aiuta: tante informazioni, ma nessuna conoscenza. Prenda il termine Islam. Esso ha vari significati: pace, salute, sicurezza e bene. Tutti noi musulmani crediamo in questi valori e viviamo secondo di essi. Eppure ci sono più testimoni del male che testimoni del bene. Ho visto il video di uno degli uomini decapitati dall’Isis. L’ultimo sguardo lo ha rivolto al cielo. Una fede come la sua e la sua certezza gli hanno fatto affrontare la morte con gli occhi pieni di speranza. Abbiamo bisogno di messaggi di bene come questi”.

Mirco Paganelli