C’era una volta la storia della mafia

    C’era una volta la mafia. Non la mafia quella vera, ma la mafia che si racconta. C’era una volta il racconto della mafia. Poi nessuno l’ha voluta raccontare più quella storia.
    Giugno 2006, Università degli studi di Bologna, Polo di Rimini. In una sala gremita e attenta Piero Grasso, Procuratore Nazionale Antimafia inaugura, a Rimini, il corso di studi in “Storia della criminalità organizzata” nell’ambito del corso di laurea in Economia. Docente Enzo Ciconte (considerato fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose. Già docente di Storia della criminalità organizzata all’Università di Roma Tre).
    Partenza con il botto. 180 gli studenti iscritti in un corso “opzionale” che dava agli studenti appena 2cfu (crediti universitari formativi). 12 lezioni con un’affluenza del 70% (stando ai numeri di un sondaggio di valutazione interna realizzato dagli, allora, studenti) che ha fatto impallidire tanti dei corsi “obbligatori”. Costo dell’operazione: 1600 euro.
    “Numeri che ci hanno fatto ben sperare per il futuro. Ma non c’è stato futuro”. A parlare è Ennio Grassi, intellettuale e appassionato studioso di mafie che con Ciconte ha nel tempo stretto collaborazioni ed amicizia.

    Il punto è che l’anno successivo questo corso non venne più realizzato. Che cosa è successo? Interessante lo era stato, visto l’apprezzamento degli studenti. Interessante lo è ancora, visto che è di una settimana fa la notizia che Bologna avrà il suo corso di “Mafia e antimafia” nell’ambito della Facoltà di Giurisprudenza. Già partito il seminario di “infarinatura” inaugurato da don Luigi Ciotti che, con le sue 20 ore di lezione e 28 ore di incontri frontali con autorevoli personaggi dell’antimafia (Nicola Gratteri, don Pino de Masi, Tano Grasso, Nando Dalla Chiesa, e tanti altri), si protrarrà sino al 28 maggio. Poi dal prossimo anno accademico si passerà dalla formula del seminario a quella del corso universitario.
    Ma come ha fatto l’Università di Rimini a lasciarsi sfuggire un’occasione del genere? E dire che si era stati i primi in Italia a pensare a un corso simile come insegnamento collaterale in una facoltà come quella di economia. Cosa è successo?

    Professor Grassi. Intanto cominciamo dall’inizio. Com’è nata l’idea di questo corso a Rimini?
    “L’idea nasce da una sollecitazione di Enzo Ciconte, legato a Rimini da anni di amicizie, villeggiature, etc… Poi devo dire che c’è stata una reciproca attenzione, quindi anche da parte dell’Università di Rimini per far partire questo particolare corso di storia. Il Preside, allora, era Candela e ci offrì tutto il suo entusiasmo e la sua attenzione. Insomma siamo partiti”.
    E poi?
    “Poi, una grande sensibilità da parte dei ragazzi che hanno affollato il corso e l’idea di riproporre la cosa per l’anno successivo, seppur con logiche e obiettivi diversi: più orientati all’economia vera e propria e meno alla ricostruzione storica del fenomeno mafioso”.
    Cosa è accaduto invece nel 2007?
    “È accaduto che in un primo momento il Preside ci ha detto che, seppur a malincuore, era obbligato a chiudere dei corsi che dimostravano essere meno organici rispetto al’insegnamento di riferimento (economia, ndr) e che era costretto a cambiare. Però…”.
    Però?
    “Però, grazie all’aiuto di alcuni imprenditori locali sono riuscito a racimolare circa tremila euro (quasi il doppio rispetto ai 1600 euro spesi dal Polo nell’annata precedente, ndr) e con quella sommetta sono andato dal Preside per chiedere la possibilità di ripetere quella bella esperienza. Ma in questa occasione Candela si è detto sfavorevole, comunque, alla riproposizione del corso”.
    Cosa era successo tra il primo incontro e il secondo?
    “Ufficialmente non abbiamo saputo niente. Pensi che ufficialmente nemmeno Enzo Ciconte ha ricevuto dall’Università una nota o lettera. Nemmeno una riga, insomma nella quale si comunicava la chiusura del corso, etc… Poi mi è stato riferito per vie traverse che il problema per Storia della criminalità organizzata era diverso. Il corso non era stato voluto per scelta e non per problemi di tipo economico. Tant’è che io i soldi li avevo portati”.
    Chi avrebbe preso questa decisione?
    “Chi aveva facoltà di scegliere dentro l’Università. Queste persone hanno ritenuto che tenere a Rimini un corso sulla storia della criminalità organizzata avrebbe rovinato l’immagine dolce e accogliente della Rimini da cartolina, intaccando – a che titolo non è dato saperlo – l’economia del settore turistico”.
    Che messaggio hanno dato secondo lei?
    “Brutto. Perché è come se la preoccupazione dell’immagine della città dovesse avere – come poi di fatto ha avuto – il sopravvento sul problema. Non solo sulla valutazione del problema, ma sul problema stesso”.
    Il problema mafioso si è compreso in questo territorio?
    “No. Basti pensare alla preoccupazione della quale ho appena accennato. Ma cosa pensavano, che sulle strade di Rimini si sarebbero riversate centinaia di persone con coppola e lupara? Non lo sanno che l’interesse della criminalità organizzata, in territori come il nostro, non è quella di controllare le strade ma far girare i soldi, riciclarli, ripulirli e rimetterli sul mercato, drogandolo? Questo non si è capito”.
    Lei si occupa di criminalità organizzata e territorio da un ventennio, ormai. Qual è il luogo comune meno azzeccato che ha sentito circolare in questo tempo?
    “Tanti. Ma il principe è sicuramente quello che «La nostra è una società che mostra gli anticorpi alla criminalità organizzata. Per questo qui non attacca». Ma dico io: se dalle carte e dalle relazioni che da anni vengono pubblicate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ma anche dai fatti di cronaca degli ultimi anni, emerge che città come Reggio Emilia e Modena sono state al centro di molte vicende! Reggio Emilia, Modena che hanno fatto la storia d’Italia nel periodo della guerra e post-guerra. Loro, allora non li avevano gli anticorpi? Mi pare un pochino presuntuoso pensare che la nostra società civile possa, con la sua sola forza, resistere alle mafie”.
    Concludiamo la nostra chiacchierata. Che cosa pensa sia mancato in questi anni, a prescindere dalla vicenda del corso universitario, a questa città?
    “Una maggiore attenzione da parte delle istituzioni al fenomeno. Non dico di fare la lotta alla mafia ma di prestare attenzione ad alcuni fenomeni più legati all’economia e al flusso di denaro. Mi piacerebbe, ora, che le istituzioni stessero vicino ad associazioni che si impegnano, anche solo a livello culturale, a parlare di certe cose. Cito per esempio l’Associazione culturale Paolo VI che negli ultimi anni ha fatto cose interessanti, ma anche la Cgil con il dibattito con Linarello (vedi box sotto). E poi i ragazzi di Vedo, sento, parlo che stanno realizzando una sorta di rassegna stampa-osservatorio su mafie e territorio”.
    C’era una volta la mafia raccontata all’Università di Rimini. Poi Rimini ha temuto l’effetto del riflesso dello specchio della strega cattiva e ora la mafia se la raccontano a Bologna.

    Angela De Rubeis