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Il barocco fra Napoli e Venezia

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Festival Purtimiro di Lugo: nello stesso giorno un doppio appuntamento con la Cappella Neapolitana e Concerto Italiano

LUGO, 1 ottobre 2017 – Ascoltare nello stesso giorno due fra i migliori gruppi italiani di musica antica è un’opportunità che può capitare solo in un festival. L’occasione si è avuta al Teatro Rossini di Lugo, durante la seconda edizione di Purtimiro. Feste musicali attorno all’opera barocca, che quest’anno sfoggia un cartellone denso di appuntamenti, distribuiti dal 29 settembre al 15 ottobre. A rendere ancora più invitante il doppio concerto era, poi, la possibilità di un confronto ravvicinato fra due civiltà musicali lontane geograficamente ma che hanno raggiunto il loro apogeo fra sei e settecento: Napoli, con Buffo sotto il Vesuvio, e Venezia – rappresentata dal solo Vivaldi – con Il Prete Rosso all’opera

Il-tenore-Pino-De-VittorioNel concerto pomeridiano, gli otto bravissimi strumentisti della Cappella Neapolitana, diretti da Antonio Florio, si sono cimentati in un excursus che abbracciava il periodo aureo dell’opera barocca, alternando brani strumentali e vocali. Solista di rango Pino De Vittorio, uno di quei cantanti-attori che possiede il rarissimo dono di rendere perfettamente intellegibile la parola, nonostante un vernacolo non sempre facile da comprendere per i non napoletani (sarebbe stato necessario un programma di sala con i testi scritti, e relativa traduzione, per godere appieno di versi talvolta spiritosissimi). E se la voce non è più fresca, come è inevitabile per un tenore con più di quarant’anni di carriera alle spalle, il cesello della frase, le doti interpretative e il talento comico sono apparsi evidenti fin dalla prima aria, Me sento ‘na cosa (tratta dallo Schiavo di sua moglie di Francesco Provenzale), dove si è rivelato prezioso anche il contributo strumentale di archi capaci di suggerire effetti quasi onomatopeici. Irresistibili Da quando lo pesce è vivo di Giuseppe de Majo e la Tarantella della catubba di Michel Angiolo Faggioli, così come la selezione di arie tratte da Li zite ‘ngalera – il personaggio della vecchia Meneca è un tenore en travesti – di Leonardo Vinci: un’opera del 1722, la cui riscoperta si deve proprio a Florio e alla sua Cappella de’ Turchini.  Grazie alla duttilità espressiva, De Vittorio ha saputo rendere al meglio anche le malinconiche sfumature che Paisiello assegna al protagonista del suo Pulcinella vendicato, e quelle di due cantate del pressoché sconosciuto Niccolò Grillo. Di gran pregio gli interventi dei musicisti della Cappella Neapolitana, che hanno proposto brani estrapolati da opere, accanto a sonate concepite – invece – con mere intenzioni strumentali: non solo per l’esemplare correttezza ma per l’efficacia delle scelte stilistiche, che hanno permesso una seppur breve ricognizione di quel patrimonio non ancora esplorato a sufficienza che è il barocco napoletano.

Tutt’altra atmosfera si respirava nel concerto serale, dedicato in maniera monografica a Vivaldi: protagonista il contralto Sara Mingardo, accompagnata da Concerto Italiano, l’ensemble guidato da Rinaldo Alessandrini, che è anche direttore musicale del Festival Purtimiro. Presentatisi in una formazione di soli sei elementi, compreso lo stesso Alessandrini in veste di concertatore al cembalo, gli ottimi strumentisti hanno puntato a valorizzare gli aspetti ritmici ancor più di quelli melodici (ben quattro i concerti per archi proposti), evidenziando una nudità di suono talvolta persino eccessiva: una scelta coraggiosa, dove forse si è corso il rischio di far apparire la musica di Vivaldi non del tutto appagante. La Mingardo ha esordito cantando due arie dall’Incoronazione di Dario, proseguendo poi con L’Olimpiade e L’Armida al campo d’Egitto, prima di concludere con la splendida cantata Cessate, omai cessate: un brano che ha esaltato la bellezza del suo timbro, l’ampia gamma espressiva, scandite da una sicurezza e una padronanza della tecnica vocale che ogni volta lascia sbalorditi. Da impareggiabile professionista e senza alcun atteggiamento da diva (lei, che è stata una delle interpreti preferite di Abbado), si è accomodata in una sedia a lato del palcoscenico – senza ritirarsi dietro le quinte – ogni volta che venivano eseguiti brani solo strumentali: un gesto di rispetto verso i colleghi come raramente capita di vedere.

Giulia Vannoni