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Bambino, io ti nego

Sono andato a spulciare il rapporto sulle povertà 2012 della Caritas alla voce “Centri Aiuto alla Vita” e per motivi di spazio ne ho dovuto fare solo una piccola sintesi a pagina 2, ma quel che certo risulta è che la gran parte delle donne aiutate a non abortire sono persone in grave difficoltà economica, con famiglie nel bisogno, senza lavoro o con occupazione saltuaria. Istintivamente torno al 1978, ai dibattiti sull’aborto, quando discutevo con i miei amici di sinistra che, per giustificare la legge, presentavano la solita sequela di casi pietosi, ed io che insistevo sul fatto che invece di aiutare donne in difficoltà spesso economica, così le relegavano a terribili scelte individuali. E che con simili opzioni negavano nei fatti il loro essere davvero vicini ai poveri e agli sfruttati, come invece proclamavano. Non è un caso se oggi una gran parte degli aborti è legata al mondo dell’immigrazione, caratterizzato spesso da povertà, disagio, solitudine, violenza. Ieri come oggi, si nega così la vita, così si cancella il futuro.
Ma in questo mondo tutto sembra essere ribaltato. La vita è negata nel seno della madre, ma anche quando la spunta non è che i tempi le siano molto favorevoli. Siamo sempre a dire che i bambini sono la nostra risorsa più delicata e preziosa, ma a guardar bene non sono tutelati nei loro diritti fondamentali: quello di stare più tempo con i loro genitori, di giocare in spazi aperti e salubri, di avere tempo libero di autogestirsi, di vivere insomma “da bambini”.
Per permettere questo si dovrebbe intervenire nell’ambito delle politiche del lavoro, della tutela della famiglia, del sostegno della maternità, ma proprio non sembra essere questo il centro delle preoccupazioni dei nostri politici. Magari apriamo (adesso con fatica) un asilo nido in più, oppure un asilo aziendale, o la scuola a tempo pieno, tutte cose belle e giuste nell’attuale situazione, ma nessuno più neppure si preoccupa di dire che sarebbe meglio, molto meglio, permettere alle madri di stare più tempo a casa con i propri figli, dedicarsi alla cura degli affetti familiari, stare accanto a chi cresce, perché quello è il tesoro più prezioso.
Perché non si riesce a invertire la rotta?
“La società ha bisogno di lavoro e di famiglia” ha detto il cardinal Bagnasco aprendo i lavori del Consiglio permanente della Cei. Punto di forza: la cultura del “noi” che “capovolge” i rapporti – sociali, economici, politici – e funziona come antidoto a “una cultura che sembra una bolla di fantasmi, di miti vuoti, di apparenze luccicanti, di bugie promettenti”. Parole sante.