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Appello all’umano: Aleppo muore

aleppoDomenica. Ore quattro del pomeriggio. I bombardamenti hanno colpito nuovamente il mio quartiere e, questa volta, la mia casa. Dopo cinque anni di assedio e di resistenza, ho deciso di lasciare il mio paese e di mettere in salvo mia moglie e i miei due figli. Non è stato facile uscire da Aleppo e neppure raggiungere il Libano attraverso la lunga striscia di deserto. Abbiamo aspettato per diversi giorni che le autorità rilasciassero i visti e poi, finalmente, abbiamo potuto raggiungere l’Italia”.
A parlare, con il cuore in mano a Rimini, è Joseph Mistrih guida turistica ad Aleppo, profugo a Marghera da sei mesi, presente, con la sua testimonianza, al ventisettesimo appuntamento con il “Rosario per i cristiani perseguitati” che, organizzato dal comitato Nazarat, viene recitato ogni 20 del mese in Piazza Tre Martiri e in diverse altre città d’Italia e del mondo.

Cosa ci racconta della situazione di Aleppo?
“Sentire parlare della guerra è una cosa, viverla un’altra. Niente acqua né elettricità. Cibo al minimo. I ribelli intorno alle mura impediscono l’arrivo dei viveri, delle medicine e del latte per i bambini. Questa è, adesso, la mia città, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 1986. Gran parte della sua bellezza è stata distrutta dai terroristi che la occupano. Quando si esce di casa per andare a cercare qualcosa da mangiare, ci si saluta come se si partisse per un lungo viaggio, perché non si sa se si riuscirà a tornare vivi o se, al ritorno, si ritroveranno famiglia e casa”.

Com’è la convivenza fra la popolazione cristiana e quella musulmana?
“Il 12% della popolazione è cristiana, caratterizzata da nove riti diversi, ognuno dei quali ha la propria chiesa. Con i fratelli musulmani non sempre è facile convivere, anche se per tutti il punto di riferimento resta la parrocchia di San Francesco, che continua a distribuire acqua dalle 8 del mattino alle 8 di sera. A  volte la distribuzione si interrompe perché la pompa ha bisogno di elettricità, l’elettricità ha bisogno di gasolio e il gasolio non arriva. Allora può capitare di sentire che qualcuno si lamenti perché l’acqua, che è un dono di Dio, non viene data. O, dopo aver ricevuto il pacco con i viveri, qualcun altro strappi il cartone e lo butti via per non uscire con il simbolo della croce rossa”.

I quartieri della città restano divisi a seconda dell’appartenenza religiosa?
“Sì, ma capita spesso che qualche musulmano venga nei quartieri cristiani a chiedere aiuto perché ha perso la casa o il lavoro. E noi lo aiutiamo, anche se non sempre questo aiuto viene ricambiato. Sono stati sospesi i momenti pubblici di preghiera, a parte la Messa, che però non viene annunciata dal suono delle campane. E le donne cristiane devono uscire di casa velate, come le musulmane. A Maalula, a nord di Damasco, i ribelli hanno tolto le croci dalle chiese e preso in ostaggio un sacerdote, perché aveva dato rifugio a cristiani e musulmani insieme, compresi gli alawiti che appoggiano il governo”.

Tornerà in Siria?
“Certo, voglio tornare. Ma ora che sono qui, devo ringraziare Dio e gli amici italiani che hanno aiutato me e la mia famiglia”.

Rosanna Menghi