Misteri del passato che continuano a non trovare risposta. Mancate verità collegate in un “filo rosso” tra ieri e oggi: dalle stragi che hanno colpito al cuore l’Italia (Brescia, Bologna, Ustica, piazza Fontana) alle vittime della mafia, tutte pagine nere rimaste senza colpevoli. La 17ª edizione del Premio Ilaria Alpi è partita come sempre dal caso giudiziario ancora irrisolto a quasi vent’anni di distanza, il duplice omicidio dell’inviata del Tg3 e dell’operatore Miran Hrovatin, per approfondire i temi che oggi vedono impegnati sul campo tanti giornalisti, non senza il rischio di censure, minacce e violenza per il loro lavoro. Giornalisti che traggono lezione dal passato per tenere viva la ricerca della verità nel presente. Lo ha sintetizzato, nel suo videomessaggio inviato al pubblico di Riccione, Roberto Saviano. A lui è andato il premio speciale Ilaria Alpi, che non è riuscito a ritirare di persona durante la serata conclusiva del 18 giugno.
Talento e speranza
Documentarsi, verificare, raccontare, senza paura: questo per Saviano, così come raccontato nella videointervista rilasciata al Premio, deve essere il modo di fare giornalismo: “Il talento – ha detto lo scrittore – può scardinare certi meccanismi di potere, può mettere paura al potere. Il talento, quello di Ilaria ma anche quello di Falcone che è stato un genio del diritto, è il vero lascito che abbiamo: il lascito di chi ci dice che si può fare, che non bisogna stare lì a lamentarsi”. E ancora: “Per lo Stato le verità possono essere scomode – ha detto in riferimento al caso Alpi -. Tirando il filo della verità della vicenda chissà dove si può arrivare: traffici di rifiuti tossici, complicità tra imprenditori e organizzazioni criminali, amici degli amici degli amici… Si creerebbe un tale marasma che il vantaggio delle verità scoperte non sarebbe monetizzabile. L’unica speranza per il nostro paese è allora contare sulla nostra bravura. L’Italia è piena di talenti, bisogna ripartire da lì”.
Mafia e Stato
Verità scomode e occultate protagoniste anche del dibattito sulla diffusione delle mafie nel nord Italia. A parlarne, a Riccione, il gip di Palermo Piergiorgio Morosini che ha riportato la storia di un imprenditore riccionese finito in una spirale di minacce e violenze da parte dei casalesi.
Gli imprenditori che pagano il pizzo sono tanti a Riccione, Cattolica e Rimini, ha ricordato il magistrato. Ed è tanta anche la paura di denunciare. Mentre al sud molte associazioni si occupano di tutelare le vittime del racket e aiutarle ad uscire dalle maglie degli strozzini, al nord gli imprenditori sono lasciati soli e non denunciano.
“Nella storia delle mafie, il rapporto con lo Stato si è basato più sul compromesso che sulla guerra aperta” ha aggiunto il pm di Palermo Antonio Ingroia nell’introdurre a Villa Mussolini il documentario “Il dialogo delle stragi”, auto-prodotto dagli studenti della Scuola di giornalismo “Lelio Basso” di Roma per riaprire un capitolo ancora irrisolto, le stragi del ‘92-’93, oltre alla cosiddetta “trattativa” tra mafia e Stato dei primi anni ’90. Come afferma Ingroia, “siamo ancora nell’anticamera della verità, la porta è ancora socchiusa”.
“La mafia di oggi – aggiunge Saverio Lodato, giornalista de L’Unità – non è più quella raccontata da Falcone e Borsellino”, ha lasciato da parte la strategia militare per diventare un organismo sempre più inserito nel mondo politico, istituzionale e imprenditoriale.
Sos corruzione
Dalle mafie alla corruzione il passo è breve. E anche qui l’Italia ha ancora molta strada da fare. Parola del Gruppo di Stati contro la corruzione (Greco), istituito nel 1999 dal Consiglio d’Europa, che monitora costantemente il livello di conformità, dei Paesi che ne fanno parte, agli standard anti-corruzione del Consiglio d’Europa. Una volta acquisiti i dati, Greco identifica le eventuali carenze delle politiche nazionali anti-corruzione e indica le riforme per migliorare.
La posizione (negativa), dell’Italia è stata illustrata a Riccione dal presidente Drago Kos. Nel rapporto sull’Italia, che risale al 2009, sono 22 le carenze rilevate. Ad esse il legislatore avrebbe dovuto adeguarsi entro un anno e mezzo. “Dei 22 punti – dice Kos – l’Italia ne ha soddisfatti solo 9, e a mio giudizio non erano nemmeno tra quelli più importanti”. Secondo Kos, l’Italia avrebbe dovuto risolvere con urgenza la questione dell’immunità parlamentare, su cui sono intervenuti direttamente i cittadini attraverso il recente referendum abrogativo. Tra le altre raccomandazioni inevase, il problema dei tempi della giustizia, “da non confondere con il processo breve che non migliorerebbe la situazione”.