Alla fine il “Vulcano” è scoppiato

    Si pensava fossero colletti sporchi, una zona grigia, delle connivenze, una lavanderia di soldi, una serie di strutture economiche che sovrafatturavano proventi illeciti, qualche intrallazzo con San Marino: insomma una “rispettabile”, tollerabile e consueta forma di infiltrazione mafiosa in un territorio tranquillo come quello del riminese che ha da sempre vantato di possedere gli “anticorpi sociali”. Ma quella doccia fredda non se l’aspettava nessuno. Il 23 febbraio i bar di Rimini e circondario pullulavano di facce stupite tra i fumi delle tazzine di caffè e i titoloni dei giornali: «Le mani della Camorra sulla Riviera, estorsioni e pestaggi» e ancora «Imprenditori in pugno alla Camorra, da un debito iniziava l’incubo» e i racconti nelle pagine interne di persone nelle mani degli usurai, costrette a guardare i pestaggi altrui e di subire intimidazioni psicologiche e fisiche. Di chi era stato costretto a cedere l’attività o a sottoscrivere polizze sulla vita per garantire i ritorni economici di prestiti a tassi esorbitanti. E ancora, leggere di capi clan del meridione d’Italia fare patti di sangue e spartirsi, letteralmente, il territorio in zone d’influenza e d’azione. In poche parole, un gran brutto risveglio. Un amaro caffè.

    La cronaca dei fatti
    Si chiama “Vulcano” l’operazione della Dda (Direzione distrettuale antimafia di Bologna) e dei carabinieri del Ros, che ha portato all’arresto di 10 perone accusate del reato di “estorsione e metodi mafiosi”. Venticinque gli indagati tra i quali un rispettabile commercialista riminese. Gli aguzzini coinvolti appartengono a tre gruppi criminali di stanza in Campania: Casalesi, Vallefuoco e Mariniello.
    A monte una storia degna di far impallidire la sceneggiatura de Il padrino, con i clan camorristici che dopo aver litigato, e minacciato di alzare il tiro, hanno trovato in Rimini un terreno d’accordo. Il territorio si doveva dividere o, per meglio dire, i proventi delle estorsioni che arrivavano dalle aziende nostrane dovevano essere suddivise tra le tre famiglie. È così è stato sino a “Vulcano”. Si è parlato anche di un summit in un ristorante sulla statale Adriatica e in un bar di Rivazzurra.
    Non si può dire a quanto ammonti il capitale circolante in estorsioni ma certo è che non deve essersi trattato di monetine se “l’affare Romagna” è stato capace di sedare una lotta tra clan e pesare sul piatto della bilancia di una pace criminale.
    Ad ogni modo sotto il tacco dei malavitosi ci sono finiti in tanti. Si è parlato di almeno una quarantina di vittime: da un imprenditore edile che lavora a San Marino alla proprietaria di un negozio di abbigliamento a Rimini sino alla titolare di una boutique di Riccione. In particolare quest’ultima e il primo, due coniugi, hanno vissuto un vero e proprio incubo, costretti a firmare una polizza sulla vita a garanzia di un prestito. Polizza che valeva anche nel caso di “morte violenta” dei due e della quale beneficiavano i camorristi. Qualora non avessero ceduto casa o azienda potevano dirsi con le spalle coperte.
    Usura ma anche pizzo. Recupero crediti che, prima dell’accordo tra clan, coinvolgeva anche organizzazioni rivali che si presentavano allo stesso campanello. Minacce e aziende cedute.
    In alcuni casi sono volate parole grosse con i criminali che hanno intimidito con un «Mi prendo tua moglie con tutto il magazzino e quella macchina e me li porto giù a Napoli».
    Minacce le ha ricevute anche un imprenditore del settore dell’abbigliamento riminese, vittima di estorsione per un prestito non pagato. I tassi erano improponibili: si è parlato di un più 20% al mese.

    Arresti eccellenti
    Francesco Vallefuoco detto Franco, 43 anni a capo dell’omonimo clan, di Brusciano, nel napoletano, e residente a Miramare (qui aveva un’agenzia di recupero crediti). Bruno Platone, 44 anni, nato e residente a Cattolica ma con la testa e gli affari nel napoletano. Legato al clan dei Mariniello, famiglia di spicco ad Acerra, a San Marino aveva una concessionaria di auto di lusso. Sempre ad Acerra faceva capo Luigi Luciano, 38 anni, residente a Rimini e titolare di un’azienda edile. Gli altri arrestati sono: Gennaro Esposito, Giovanni Formicola, Ernesto Luciano, Pasquale Maisto, Giuseppe Mariniello, Sergio Romano, Massimo Venosa. Davvero un bel clan.

    Angela De Rubeis