“Aiuto, mio figlio non mi mangia”

    Andrea, diciotto mesi, fino a poco tempo fa si è nutrito solo di latte, strano a crederci guardando questo bambino ‘in carne’ mentre gioca al parco della Resistenza di Riccione. Eppure nel raccontarlo, papà Matteo si dispera ancora:“Le pappe le ha rifiutate fin dall’inizio. Abbiamo provato in tutti i modi: omogeneizzati, carne fresca, formaggi…”. Ora va meglio, anche se Andrea continua ad avere le sue preferenze. Particolari. “Chissà per quale motivo mangia solo cose tonde: gnocchi, solo al pesto, pizza e piada…”. “Serena non è mai stata una grande mangiona– racconta mamma Patrizia -. Da settembre è entrata in crisi, mangia solo latte e biscotti. Ho seguito il consiglio del pediatra: è rimasta a digiuno completo ben 4 giorni ma poi la stessa tiritera”. Altra mamma, altri stratagemmi: “Filippo, 14 mesi, rifiuta qualunque pappa, magari assaggia dai nostri piatti, ma solo pochi bocconi. Finora non ho trovato nessun alimento che gli piaccia veramente, per farlo mangiare devo accendere la tv”. A volte sembra che il problema arrivi da fuori: “Mio figlio da quando ha iniziato l’asilo a settembre ha peggiorato il suo già precario rapporto con il cibo” sbotta papà Alessandro. A volte il problema è un altro: “Con Filippo è guerra del seggiolone – racconta un’altra mamma disperata – spesso si rifiuta di sedersi per mangiare, pretendendo di farlo in braccio”.
    Per un numero di mamme e papà, episodi come questi si protraggono nel tempo fino a diventare seri problemi da curare prima con l’aiuto del pediatra e, se non basta, di uno psicologo infantile.

    Panico, che fare?
    I disturbi del comportamento alimentare ad insorgenza precoce, secondo gli esperti, sono sempre più diffusi, in forme svariate, nei bambini da zero a dieci anni. Certo, in questo periodo non si può parlare di anoressia e bulimia nell’accezione che tali malattie hanno nei pazienti più grandi, ma i casi di bambini che chiudono la bocca di fronte al cibo o che rigettano dopo aver mangiato, sembrano in aumento anche in questa fascia di età.
    All’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’Ausl di Rimini, esiste dal 2004 un progetto specifico. Ad occuparsene la psicoterapeuta Gertrude Righi: le richieste, da ogni parte del territorio provinciale, arrivano, tramite impegnativa del pediatra, direttamente a lei, ‘deviando’ le canoniche liste di attesa. Il tempo tra la telefonata e il primo colloquio è in media di una settimana-dieci giorni. I casi trattati finora riguardano per il 64,3% femmine, per il 35,7% maschi. La maggioranza (28,5%), paradossalmente, si riferisce ad ‘altre problematiche’, non collegate a disturbi alimentari. Quando invece il cibo rappresenta il primo problema, nel 21,4% dei casi si tratta di disturbo selettivo (il mangiare solo pochi tipi di alimenti), nel 14,2% di alimentazione incontrollata e sempre nel 14,2% di fobia vera e propria. Negli altri casi la diagnosi ha portato, invece, a non rilevare nulla di patologico.
    Le problematiche variano da quelle croniche, più serie, a quelle che possono risolversi nel giro di due o tre incontri. “Tante volte – sottolinea la psicoterapeuta – basta modificare l’ambiente educativo, relazionale e affettivo del contesto familiare, per arrivare ad una soluzione. È importante però che il genitore non si senta mai giudicato: qui non si tratta di un problema derivante da una sua inadeguatezza o inefficienza, ma da un insieme di fattori da risolvere caso per caso”.
    Una costante però c’è: “È bene che al primo incontro il bambino non sia presente. Non c’è niente di più sbagliato del parlare del problema davanti ai figli”. L’interessato è chiamato solo in seguito: “Per prima cosa – continua la dottoressa – si cerca di vedere come sta: se non ci sono ritardi psicomotori, stati depressivi o comportamenti strani, allora il bambino è a posto e il lavoro si concentra sui genitori, su come rendere più facilitante il momento del pasto. A volte bastano piccole indicazioni psico-educative, come non rincorrere il bambino in giro per casa con il cucchiaio o non distrarlo con giochi pur di fargli mangiare tutto”.
    Altre volte è il “panico da cibo” del genitore ad aver bisogno di un sostegno. “È facile che scatti l’ansia. Purtroppo, però, è altrettanto facile che il bambino percepisca lo stato d’angoscia del genitore”, innescando il cosiddetto ‘circolo vizioso’: non mangio, mamma e papà sono arrabbiati però almeno resto al centro dell’attenzione, continuo a non mangiare… Che fare quindi? “Abbassiamo l’ansia, è deleteria. Se il bambino cresce bene, non succederà niente se andrà a letto senza cena”. Ma se l’inappetenza continua? “Se il bambino tende a mangiare poco è possibile che ciò avvenga perché ha necessità metaboliche inferiori di altri. Se la curva della crescita è normale, se il bambino gioca, esplora, socializza, allora non ci sono problemi. Molte volte capita che vengano portati da me bimbi tutt’altro che sottopeso…”.

    Alessandra Leardini