Una riflessione sullo stato di salute dello scalo riminese dopo i primi dieci anni della nuova gestione. Manca un vero e proprio salto di qualità, ma pesa anche la reale forza del territorio
È notizia recente quella che vede l’aeroporto di Rimini perdere due collegamenti internazionali, quelli con Monaco e Malta, annunciati nei mesi scorsi e che sarebbero dovuti essere attivi da maggio a ottobre. Una perdita dovuta, secondo quanto affermato dalla stessa compagnia aerea, la maltese Universal Air, a una carenza imprevista di velivoli, anche se all’indomani della notizia da più parti (con malizia) è stata suggerita l’ipotesi di un basso numero di prenotazioni. A prescindere dalla motivazione, resta una tegola pesante per uno scalo come quello riminese, proprio alle porte della stagione turistica. E diventa anche spunto per una serie di riflessioni su questo primo decennio della “nuova era” del Fellini, quella targata AIRiminum, la società di gestione che ne ha preso le redini dopo il noto crac di Aeradria. Dieci anni non certo facili, con numerosi ostacoli che l’aeroporto si è trovato ad affrontare (alcuni macroscopici, si pensi al Covid o allo stop agli importanti collegamenti con Russia e Ucraina a causa della guerra), che restituiscono l’immagine di uno scalo in grado di sopravvivere, ma che non sembra avere la forza di compiere un vero e proprio salto di qualità. Che non riesce, è il caso di dirlo, a decollare. Emblematici in questo senso gli obiettivi dichiarati nel recente passato: sul finire del 2023, infatti, l’agognato traguardo del milione di passeggeri (sfiorato solo nel 2011 da Aeradria poco prima del fallimento) è stato fissato al 2027, per poi dover registrare nel 2024 un totale di poco più di 325mila passeggeri, una crescita sicuramente positiva (oltre il 14%) ma non sufficiente a puntare all’obiettivo stabilito.
Lo studio
In prospettiva più ampia e contestualizzata, è possibile scattare una fotografia della situazione attraverso il report dettagliato commissionato da ACI Europe (il Consiglio Internazionale degli Aeroporti) e da Assaeroporti (l’associazione che riunisce le società di gestione degli scali italiani), che analizza lo stato di salute degli aeroporti a livello regionale. Il rapporto, trasmesso a fine 2024 alla Commissione europea e rilanciato a livello nazionale dal Corriere della Sera (nello speciale Dataroom) pone tre elementi di analisi. In primis la stretta correlazione tra dimensione effettiva degli scali e capacità di profitto. “ Nel 2023 sono transitati dai nostri scali 197 milioni di passeggeri complessivi, – sottolinea Dataroom – ma il 76% si è concentrato nei 10 aeroporti più grandi. Agli altri restano le briciole e questo mette in seria discussione la loro stabilità”. Da qui discende il secondo elemento, fondamentale e in risonanza con quanto detto della situazione riminese: “ La linea rossa di sopravvivenza – si legge nel report – si posiziona sul milione di passeggeri. E se si scende a meno di 500mila, senza l’aiuto dello Stato è pressoché impossibile stare in piedi”. Infine, c’è il tema della concorrenza, particolarmente sentito a Rimini, vista la presenza di ben quattro aeroporti in poco più di 130 km, con Forlì, Parma e il gigante Bologna. “ Se i piccoli aeroporti italiani non vogliono integrarsi con i grandi non ce la possono fare: si faranno la guerra e moriranno tutti” è il commento che non lascia spazio a interpretazioni di Carlo Borgomeo, presidente di Assaeroporti. Rimini e gli aeroporti di provincia Un focus specifico sugli scali di provincia, “Fellini” compreso, è quello realizzato da Ugo Arrigo, professore del Centro di ricerca di economia industriale e pubblica (Cesisp) dell’Università Bicocca di Milano, rilanciato sempre da Dataroom alla luce del report analizzato. Il professor Arrigo sottolinea che attualmente sono 18 gli aeroporti italiani che si situano sotto la soglia del milione di passeggeri e, tra questi, sarebbero otto gli scali “ che non fanno sistema” e che sarebbero a rischio guardando ai bilanci degli ultimi dieci anni. Tra questi c’è anche Rimini.
L’aeroporto è un sintomo e non la malattia? Il ruolo del territorio Se le difficoltà dello scalo riminese sono dunque evidenti, occorre però allargare la riflessione su quanto queste siano collegate alla situazione dell’intero territorio di cui l’aeroporto è (o dovrebbe essere) la porta d’ingresso. “ Sono diverse le valutazioni che si possono fare, relative sia all’aeroporto sia in senso più ampio al territorio. – è l’analisi di Alberto Rossini, già dirigente della Provincia di Rimini – Partendo dall’aeroporto e dalla sua storia, dopo ciò che è successo con il fallimento di Aeradria e con le conseguenti vicende processuali, c’è una certa paura da parte delle amministrazioni a investire sulla struttura, per il timore di configurare azioni illecite o comunque al limite dei propri compiti istituzionali. C’è da valutare, poi, la gestione da parte dell’attuale società, AIRiminum. Una società che, a mio parere, non sembra avere la forza e la struttura necessaria per investire in modo significativo per il rilancio dell’aeroporto. Ha una gestione certamente oculata e attenta, ma non sembra in grado di garantire i necessari interventi per il futuro: ciò che si fa oggi è assicurato principalmente da contributi pubblici, mentre la società non ha un grande piano di investimenti. E infatti, anno dopo anno, il numero dei passeggeri rimane sostanzialmente stabile”. Noto, come detto, anche il peso portato dalla saturazione degli scali sul territorio. “ L’influenza maggiore è ovviamente quella del ‘Marconi’ di Bologna, che ha un importante bacino di utenza internazionale ed è inserito in una rete di collegamenti veloci che ne accrescono in modo esponenziale l’appeal, accentrando su di sé la gran parte del traffico e dell’affluenza. – prosegue Rossini – Ma crea difficoltà anche la presenza dello scalo forlivese, che per la sua stretta vicinanza sottrae circa 200mila passeggeri a Rimini, che quindi si troverebbe oggi intorno al mezzo milione di utenti, con prospettive di crescita diverse. In questa situazione è necessario l’impegno della Regione, in ottica di coordinamento e di pianificazione: certo, anche in questo caso non è semplice, perché trattandosi di concorrenza tra privati l’intervento dell’ente pubblico non può entrare direttamente nelle scelte delle società, però una maggiore armonizzazione può essere utile. Non limitare la concorrenza, ma pianificarla. E qualcosa in tal senso sembra muoversi, con la Regione che in questi mesi ha dato il via a un percorso condiviso per arrivare a una legge regionale sul sistema aeroportuale. Vedremo a cosa porterà”.
Infine, il punto nodale: quanto è ancora “forte” il nostro territorio e quanto pesa questo sulla salute del Fellini? “ Dobbiamo fermarci e capire quale sia la situazione attuale del turismo riminese. Soprattutto quello internazionale: il 2024 ha chiuso con buoni numeri, ma che non sono paragonabili a quelli del passato, degli anni ’60 e ’70 ad esempio, ponendo il tema di quale sia il reale bacino di utenti di cui è possibile disporre. I concorrenti europei e mondiali sono cresciuti a dismisura, inglesi e svedesi hanno sostanzialmente dimenticato l’Adriatico. Francia e Spagna si contendono il primato del turismo e il mercato russo, che per un periodo ci aveva illuso, è uscito di scena. Oggi, e ormai da tempo, quello riminese è un turismo di vicinanza, di natura soprattutto regionale o poco più, e questo ovviamente impatta sulla salute dell’aeroporto”.