Il Tempio Malatestiano? Supera l’Italia, dove questo “edificio concettuale si riveste del suo retroterra e del portato dei viaggiatori che lo hanno indagato”, afferma sicura Paola Spinozzi, docente universitaria all’ateneo di Ferrara e curatrice dell’evento “Il Tempio Malatestiano oltre l’Italia. Scritti forestieri fra Ottocento e Novecento”. Questo ha luogo nella navata più centrale della città e ripropone le suggestioni vissute dagli studiosi stranieri che tra Otto e Novecento si sono avventurati nella terra di Sigismondo ed indagato l’architettura del suo Tempio. Spetta agli esperti invitati durante i pomeriggi organizzati dalla Fondazione Cassa di Risparmio (in collaborazione con Comune e Diocesi di Rimini) il compito di ricomporre il mosaico dei pensieri di questi intellettuali forestieri.
“A Rimini ci deve essere di più”. Il prof. Andrea Pinotti, docente di Estetica presso l’Università Statale di Milano, dipana le scoperte fatte in Italia e in Romagna dallo storico dell’arte svizzero, e amico di Nietzche, Jacob Burckhardt. “L’Italia è il posto infinitamente più bello del mondo”, è la summa delle sue indagini sul Bel Paese che hanno portato alla nascita de Il Cicerone: guida al godimento delle opere d’arte d’Italia. Il celebre libro campeggia tra i migliori componimenti di storia dell’arte dell’800 e rappresenta un’occasione per conoscere Rimini da un punto di vista inedito: “In questa terra vive un popolo meraviglioso – racconta lo storico –. Se fossi capace di disegnare presenterei il tipo romagnolo che vedo dinanzi agli occhi. Un volto non classico, dagli zigomi pronunciati, meravigliosi occhi penetranti, carnagione scura e brillante, capelli neri”. Mentre viaggiava per l’Italia, Burckhardt scriveva questa guida “in autopsia”, ricorda Pinotti, ovvero forniva la sua analisi attraverso la visione diretta dell’opera d’arte; “e quando parla di ’godimento’ delle opere, deve averlo declinato alla maniera romagnola del gustarsi un buon vino e un buon pasto”. Burckhardt ha descritto anche il Ponte di Tiberio come un “possente ponte romano perfettamente conservato, così bello che mi sarei messo ad ululare”. E la sua passione per questa terra si manifesta, ancor più audacemente, nell’ammirazione per le sue donne: “Ragazze del popolo di una bellezza sublime. Se una di loro si facesse vedere a Basilea provocherebbe una crisi tra i giovani e i meno giovani. Bisognerebbe fare una prova di un paio di settimane”. Non manca l’apprezzamento per il vino, visto in competizione con quello dei vicini di casa: “Il Sangiovese che ho bevuto qui è anche meglio di quello di Forlì”. A quanto pare lo storico ha ritrovato a Rimini, sotto molti punti di vista, quel “di più” che ricercava.
“Pagano sfrontato”. Dai piaceri della terra, alla critica verso la sua storia, o meglio, verso il suo personaggio più emblematico, quel Sigismondo Malatesta che servirà a completare la sua teoria del tiranno. “Parla di una terribile indole” rilancia il professore citando il suo testo. “Devastò tutto quello che gli altri avevano costruito, giacché non voleva lasciare in vita altro ricordo che il suo”. E continua con un altro passaggio da La civiltà del Rinascimento in Italia, libro dello stesso autore dove vengono accostati gli elementi positivi e negativi del Signore di Rimini: “Audacia, empietà, talento guerresco e cultura assai raffinata raramente si unirono in un uomo solo come in Sigismondo Malatesta. Ma dove i misfatti sovrabbondano, come in questa casa, quivi finiscono anche col preponderare sopra il talento e col trascinare il tiranno nell’abisso”. E ancora: “Sarebbe oggi a stento credibile che un mostro, quale codesto principe fu, sentisse l’esigenza della cultura e della compagnia dei dotti”. L’autore continua nella riprovazione morale di Sigismondo analizzando l’affresco di Piero della Francesca all’interno del Tempio Malatestiano, notando come il condottiero sia inginocchiato in devozione di fronte al Santo suo omonimo, ma seguito dal cane da caccia, la cui presenza nella composizione è vista come “una mancanza di riguardo nei confronti della santità dell’uomo”, cprecisa Pinotti. Anche attraverso la descrizione dei “tiranni di Rimini”, Burckhardt si fa conoscere come il teorico del “ribaldo”, ovvero del condottiere rinascimentali senza scrupoli.
“Non il che cosa, ma il come”. Burckhardt non ricerca i grandi uomini della storia da analizzare, ma i dettagli, e fuga ogni dubbio sulla sua fascinazione per gli outlaws, i fuorilegge: “Non sono mai stato un adoratore degli uomini senza scrupoli. Lascio ad altri l’analisi della loro struttura psichica. State attenti a loro, perché si collocano al di fuori della tradizione”. Infatti, come spiega il professore di Milano, per Burckhardt i grandi nomi della storia costituiscono “un elemento di perturbamento per la storia stessa. Infatti tra Michelangelo e Raffaello egli sceglie il secondo, perché vede nel primo lo scopo nella vita di affermare la sua irriducibile individualità contro la tradizione”. Burckhardt, dunque, sospetta tutto ciò che è singolarità e che spicca. A lui interessa piuttosto occuparsi di un terreno comune: “Dobbiamo ricercare nella storia non gli elementi unici – insiste lui –, ma ciò che si ripete, che è costante e tipico, come qualcosa che risuona in noi e che per noi è comprensibile”. La storia cambia, però ci sono delle costanti tipiche, antropologiche, che parlano dell’uomo e narrano la sua evoluzione. E chiosa: “Nell’arte quel che più conta non è il che cosa, ma il come”.
L’armonia di Alberti. Non manca il confronto di Burckhardt con Leon Battista Alberti, l’ideatore della rivisitazione della Chiesa di San Francesco, conosciuta poi come Tempio Malatestiano. Egli parla dell’innesto albertiano sulla facciata gotica come di un “elemento sfarzoso mimetizzante”, risalente ad uno stile spaziale, tipico dell’arte romana e rinascimentale, contrapposto allo stile organico della grecità e del Gotico. Alberti, che a metà del Quattrocento teorizzava i principi architettonici del suo tempo, con il Tempio Malatestiano ha contemporaneamente elaborato un suo manifesto. La composizione equilibrata e armonica rimanda al celeste, spiega Pinotti, in linea con la filosofia neoplatonica che sottendeva quel frangente storico. “Alberti, a proposito della facciata di San Francesco a Rimini – scrive lo storico -/i>, usa per indicare l’armonia segreta delle parti con il tutto l’espressione della musica”. L’esposizione del professore si chiude con la definizione di arte secondo Burckhardt: <+cors>“Non copia del reale, ma seconda creazione: continuazione del gesto della creazione divina”.
Mirco Paganelli