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A ognuno le sue croci

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vettaA volte, per trovare sollievo dalle torride polemiche balneari che scoppiano delle nostre parti, vado a cercare refrigerio in qualche polemica collinare o montana. Come la recente polemica sulla croci in montagna.

In sintesi, parlando della storia delle croci in montagna un rappresentante del Cai, Club Alpino Italiano, ha detto che l’intenzione è di non installare più croci perché i tempi sono cambiati. Qualche media ha fatto il solito titolo che forzava il concetto, qualche alto rappresentante del governo ha letto il tiolo senza approfondire l’argomento e si è scagliato contro l’empia volontà di rimuovere le croci in montagna. Cosa che nessuno ha detto, tanto che il Cai ha dovuto pubblicamente specificare che si parlava di intenzioni del futuro e non delle croci già presenti, simbolo di un’epoca pionieristica dell’alpinismo quando per le nuove vette conquistate si era soliti ringraziare chi sta in Cielo per la protezione ricevuta. Simbolo, tra l’altro, rispettato anche dall’alpinismo ‘laico’ proprio per la sua valenza storica prima ancora che religiosa. E lo stesso Cai ha specificato che l’intenzione per il futuro riguarda qualsiasi simbolo, non solo le croci. Come però spesso succede i buoi erano intanto scappati dal pascolo. E così tra crociate e controcrociate, accuse di cancel culture, distinguo e passi indietro, paragoni tra le croci e le pale eoliche, mi sono cascate le braccia a valle. Anzi, proprio sotto il livello del mare.