Trecento appuntamenti, quasi 6.000 biglietti venduti, ma anche polemiche sotto i riflettori. La 45ª edizione del Festival Internazionale del Teatro in Piazza ha regalato nuovamente al pubblico accorso nel centro storico di Santarcangelo, quelle sperimentazioni artistiche che ne hanno siglato il successo in tutti questi anni. Tuttavia, quella che è andata in scena sabato e domenica scorsi nel tardo pomeriggio, nel piazzale davanti alla Sala Lavatoio, è stata una sperimentazione scenica che ha lasciato a dir poco esterrefatti. Il danzatore Frank Willens si esibisce in un assolo completamente nudo. La coreografia è tratta da (Untitled) (2000), creazione di Tino Shegal, Leone d’Oro come Miglior Artista alla Biennale di Venezia nel 2013. Ad un certo punto, il ballerino si fa la pipì in faccia: tanto basta ad incuriosire – per usare un eufumismo – il pubblico e chi si trova a passare in quel momento in piazza e a far scatenare il popolo della Rete, pronto a postare sui social network la foto del danzatore e a dibattere su cosa sia – e non sia – arte. E c’è chi punta il dito contro i soldi pubblici arrivati al Festival: circa 800mila euro (anche da Regione e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), in aumento come annuncia il sindaco di Santarcangelo, Alice Parma (che è anche presidente del Festival), nel sottolineare, a sipario chiuso, “l’importanza crescente della manifestazione”. Parma difende anche la performance rivendicando la libertà di espressione del Festival e precisando: “È vero che è avvenuta all’aperto ma gli spettatori attorno al ballerino hanno reso intimo e protetto il contesto”. Il direttore artistico del Festival, Silvia Bottiroli, è pronta a spiegare il significato artistico dell’esibizione: “L’ultimo lavoro coreografico di Tino Sehgal prima della sua conversione alle arti visive, è una storia del XX secolo attraverso un assolo maschile che ripercorre la storia della danza del ‘900”. Lo spettacolo è affidato al coreografo francese Boris Charmatz e portato in tournée dal suo Musée de la Danse, “una delle maggiori istituzioni coreutiche europee” sottolinea Bottiroli aggiungendo che lo spettacolo è sovvenzionato, tra gli altri, dal Ministero della Cultura e della Comunicazione francese. Bottiroli spiega anche che la performance è “un inanellarsi di citazioni“. Tra queste, la scultura Fontaine di Marcel Duchamp, che altro non è che un comune orinatoio. La parte della coreografia tanto discussa, attraversa questa scultura, specifica Bottiroli, “abbandonando l’oggetto per lasciare alla scena l’atto“. Non è tutto: “il danzatore si fa fontana, facendo sgorgare uno spruzzo di pipì, nella posa del Manneken Pis di Bruxelles“ (una piccola statua di bronzo raffigurante un bambino che fa la pipì in una fontanella). Per Bottiroli, “si tratta quindi non già di una facile provocazione, che sarebbe peraltro puerile e poco efficace, ma di una dichiarazione rispetto al rapporto tra danza e storia, tra dimensione dell’arte e dimensione della vita individuale e politica. E di un gesto fortemente coreografato”.
“Dall’ascesa al declino di un festival ridotto a orinatoio” commenta con una battuta l’editore Mario Guaraldi. Siamo veramente arrivati al declino dell’arte? Fabio Bruschi, già direttore di Riccione Teatro, dà la sua lettura. “Qui non è in discussione lo statuto artistico dello stagionato solo di danza creato nel 2000 da Tino Sehgal e presentato da allora in diversi teatri, gallerie e festival. Ciò di cui discutere non è il testo (quella coreografia, con le sue posture, parole e gesti, secrezioni incluse) ma il contesto nel quale viene presentato”. “Quando – prosegue Bruschi – qualche giorno prima, mi sono recato al Supercinema per assistere alla prima italiana di Our secrets, un bel lavoro del regista e drammaturgo ungherese Bèla Pintèr, mi sono imbattuto all’ingresso in un cartello: certi temi trattati dallo spettacolo e dalle relative scene (nel caso specifico la pedofilia) avrebbero potuto turbare la sensibilità di alcuni spettatori. Anche in altri casi analoghi il festival si è comportato in modo ugualmente civile e professionale, secondo una prassi ormai consolidata da tempo e che tiene conto del fatto che le sensibilità sono diverse”.
(Untitled) è stato rappresentato prima in strada da Frank Willens, poi nella Sala Lavatoio da Boris Charmatz: “La ‘protezione’ dello spettatore, garantita nelle sale dagli ‘avvisi’, non ha potuto esserlo nell’aperto spazio urbano, in strada, dove il passante occasionale poteva trovarsi ad assistere ad azioni che urtavano la sua sensibilità. L’agibilità dello spazio urbano all’arte, ‘la sua presa di parola nello spazio pubblico’, è il tema centrale di Santarcangelo 2015: ‘Che cosa fa l’arte? Che cosa le è permesso di fare? In che modo l’arte è soggetto di scandalo, di inciampo del senso comune, di perturbazione del reale?’ Dunque non si è trattato di un caso di sputtanatissima ‘provocazione’, ormai confinata alla comunicazione pubblicitaria, ma, a mio parere, di una mancanza di sensibilità verso chi ha una sensibilità diversa dalla propria”.
Alessandra Leardini