Soffia vento contrario per lo stereotipo del giovane individualista e indifferente, disinteressato a ciò che gli accade attorno. A dircelo è l’ 8° Rapporto “Noi doniamo”, redatto dall’Istituto Italiano del Dono in occasione della Giornata nazionale del dono, il 4 ottobre, che rivela uno scenario incoraggiante e promettente, in generale ma soprattutto per quanto riguarda i giovani: sempre di più, infatti, sono i ragazzi che si spendono nel volontariato. Un milione e 31mila tra i 14 e i 35 anni si sono offerti con gratuità durante il 2024, arrivando così a rappresentare complessivamente circa un quarto dei volontari totali. Ma per quale motivo sono in gran parte giovani quelli che decidono di mettersi in gioco per il bene degli altri? Cosa li spinge a prendere l’iniziativa? Quali valori o princìpi li guidano in questa scelta? Tutte domande alle quali per rispondere i ricercatori hanno avanzato diverse ipotesi, sottolineando come i giovani tendenzialmente preferiscano scegliere una causa da sostenere, piuttosto che un’organizzazione o un ente specifico da supportare, e come siano maggiormente idealisti e profondamente coinvolti da temi che riguardano a doppio filo il loro futuro, quali i cambiamenti climatici e la salvaguardia dell’ambiente, i diritti, la pace nel mondo. Il volontariato diventa quindi un’occasione per fare la differenza, facendo la propria piccola parte per contribuire a rendere il mondo un posto migliore, con l’obiettivo di giovare agli altri e alla società. Abbiamo intervistato Marco e Chiara, riminesi di 18 e 20 anni, lui impegnato come volontario in un’associazione di aiuto compiti, lei forte delle varie attività e occasioni incontrate durante il suo percorso scout, per capire quali siano le motivazioni personali dietro la loro scelta di offrirsi nel volontariato.
“Ho iniziato con l’aiuto compiti circa un anno fa, quando un mio amico che già vi partecipava mi ha proposto di andare a dare una mano in un momento in cui avevano particolarmente bisogno di forze. – racconta Marco – Mi è subito sembrata una sfida interessante, perché a me piace molto stare con i bambini, amo la loro creatività e lo spiazzante modo che hanno di vedere il mondo; così ho accettato, senza pensarci troppo a fondo, senza riflettere più di tanto in un primo momento sull’impatto che quelle due ore alla settimana da me messe a disposizione potevano effettivamente avere sulla vita di chi avrei incontrato in quest’esperienza. Solo una volta cominciato mi sono reso conto che per la maggior parte dei bambini quello dell’aiuto compiti è uno spazio davvero importante: molti di loro infatti sono stranieri e di conseguenza i loro genitori non possono aiutarli con l’italiano, e in questo noi possiamo essere di grande supporto, anche solo per il fatto di dare loro un momento in più nella loro giornata in cui parlare e imparare meglio la lingua che solitamente in casa non utilizzano. Senza contare il valore relazionale di quelle interazioni intrattenute con gli educatori e con gli altri bambini, le amicizie strette, i momenti di studio e quelli di svago, in un ambiente che in molti casi si è rivelato più inclusivo e aperto della scuola stessa. La consapevolezza di essere parte di tutto ciò è davvero gratificante, e credo che sia una sensazione davvero impagabile, quella che si prova quando ci si dona per gli altri”.
“In quanto scout, piuttosto che volontariato preferiamo chiamarlo servizio, perché di fatto non è altro che un mettersi a disposizione del prossimo, un donarsi con gratuità nei confronti di chi ne ha bisogno. – è la testimonianza di Chiara – In questi anni ho avuto la possibilità di fare molte esperienze di questo tipo, avendo l’occasione di mettermi in gioco in prima persona e di conoscere persone e realtà che fanno del servizio il proprio modo di essere, il proprio stile di vita. Ad avermi toccato particolarmente è stata la visita al Sermig di Torino, l’Arsenale della Pace, dove ho avuto modo di vedere all’opera tanti altri giovani e persone come me che si prodigano per un mondo migliore, consapevoli della portata limitata del proprio operato, di non poter di fatto aiutare tutti i bisognosi o cambiare il mondo dall’oggi al domani, eppure determinati a dare il proprio contributo, certi che nella sua genuinità e semplicità sarà davvero in grado di fare la differenza.
Dopotutto penso che la chiave stia proprio nella parola futuro: se non avessimo l’obiettivo o la speranza di un domani migliore, di certo non avrebbe senso darsi così tanto da fare, sarebbe tutto un agire fine a se stesso, un tran-tran senza scopo.
Se dovessi trovare una motivazione che mi spinge a fare servizio, penso che porrei il focus sul fatto che nel volontariato si offre la propria disponibilità, si donano il proprio tempo e la propria attenzione agli altri, ma per quanto non ci si aspetti assolutamente nulla in cambio, se ne esce sempre arricchiti: una maggiore comprensione di se stessi, del mondo che ci circonda, un’esperienza trascorsa o una persona conosciuta che anche a distanza di anni continuano a scaldare il cuore. Qualcosa che probabilmente vale molto di più di ciò che abbiamo donato”.
Andrea Pasini

