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1321, Dante muore a Ravenna

Settembre 1321. La notizia della morte di Dante Alighieri si diffonde a Ravenna (dove egli si spegne nella notte tra il 13 e il 14) grazie al notaio Pietro Giardino che abita nella stessa città e che fa parte di quel “piccolo cenacolo” che circonda il poeta, come leggiamo in “Vita di Dante” (1997) di Giorgio Petrocchi (1921-89). Dante nel 1318 da Verona era giunto a Ravenna.

Qui organizza quel piccolo cenacolo culturale. Era stato attratto, spiega Petrocchi, dall’ambiente pieno di letterati e dotti che si radunavano attorno a Guido Novello, poeta lui stesso. A Ravenna c’è anche sua figlia Antonia (suor Beatrice, poco più che ventenne) nel monastero di Santo Stefano degli Ulivi. A Ravenna soltanto, osserva Petrocchi, Dante ha “il privilegio di vivere in un consorzio di agguerrita vivacità intellettuale”.

Le “peripezie” politiche del Poeta Nel 1311 a Firenze Dante era stato escluso dall’amnistia. Con la morte di Arrigo VII, nell’agosto 1313 a Buonconvento presso Siena, le utopie politiche di Dante furono vanificate. Il poeta aveva sostenuto con entusiasmo l’imperatore eletto nel novembre 1308 e incoronato da Clemente V nel febbraio 1312, ma il progetto dantesco dell’Impero era privo di fondamento. Facendo “parte per se stesso”, Dante si distacca dalla politica attiva ponendosi al di sopra delle parti (G. Gorni, 2008).

Nel 1315 Dante ha rifiutato le condizioni poste all’indulto, ritenendole troppo onerose ed umilianti. Assieme alla prole è stato nuovamente condannato a morte, alla confisca e alla distruzione dei beni, non essendosi presentato come sospetto ghibellino a ricevere l’assegnazione del confino.

La seconda tappa veneta durerebbe dal 1312-1313 al 1318 (Petrocchi), quando c’è l’approdo all’ultimo “rifugio” (come lo stesso Dante lo chiama in “Paradiso”, XVII, 70) a Ravenna presso i Da Polenta e al loro “fervido cenacolo” di dotti e letterati. Guido da Polenta (scomparso nel 1310) era stato nel 1290 podestà a Firenze. Qui può aver conosciuto Dante.

L’arrivo a Ravenna e la morte Al suo arrivo, a Ravenna comanda Lamberto, figlio di Guido e fratello della povera Francesca. Lamberto muore nel 1316, lasciando il potere al figlio Guido Novello. Il quale nei primi mesi del 1321 utilizza il poeta come ambasciatore a Venezia. Di ritorno dalla laguna, Dante contrae a Comacchio le febbri malariche che lo portano alla tomba. La pace di Ravenna con Venezia, per cui si era adoperato Dante, è del 4 maggio 1322.

Quando i Malatesti, nel 1275, combinarono il matrimonio tra Giovanni e Francesca, ad un altro fratello di costei, Bernardino (forse podestà a Rimini nel 1294), fu promessa in sposa Maddalena, sorella minore dello stesso Giovanni.

Una figlia di Bernardino e Maddalena fu battezzata con il nome di Franceschina, e poi avviata al chiostro, al pari di una sua sorella, Polentesia. Guido Novello è figlio di un fratello di Francesca da Rimini, nata da Guido da Polenta il Vecchio.

Francesca, dal marito Gianciotto, ebbe Concordia poi fattasi suora clarissa a Santarcangelo.

Il Dante che si affaccia dalle storie del 1321 riguarda non soltanto Ravenna, ma tutto il territorio romagnolo e quindi anche Rimini, non fosse altro per Francesca che rende universale il nome della nostra città. A Ravenna Dante stringe amicizia con un medico, Guido Vacchetta, come leggiamo in Augusto Campana (1965). Li univa quella cultura che anche medici e notai apprendevano frequentando la facoltà delle Arti (o di Filosofia). Vacchetta sarà conosciuto nel 1350 anche da Boccaccio proprio a Ravenna, dove incontra tanti piccoli dotti riuniti in un’accademia (C. Bologna, 1986). Il tema delle Arti cosiddette liberali è illustrato magnificamente in una cappella del Tempio malatestiano di Rimini, con un itinerario che parte dalla Natura la quale ispira l’Educazione attraverso la Cultura, con lo scopo di preparare

ad una vita tra cittadini tutti eguali, e quindi liberi.

Dante, “poche certezze e molti dubbi” Francesco De Sanctis (1817-1883) scrisse che Dante non era uomo politico perché gli mancava “flessibilità e arte di vita: era tutto un pezzo”. A noi, dalla Ravenna di quei giorni, viene incontro proprio un Dante che, con l’ambasciata a Venezia richiestagli, dimostra che gli affari di una comunità non riguardano soltanto chi siede sulle poltrone del potere, ma ognuno di noi, che dobbiamo essere veramente “tutto un pezzo” nella vita d’ogni giorno. Per vedere le cose nella loro verità.

Ripensando a De Sanctis, constatiamo che le letture del passato, possono aiutarci nel presente.

Nel 2010 abbiamo raccontato sulle pagine de ilPonte che Francesca “da Rimini” è protagonista di una vicenda inventata dall’autore, secondo il filologo Guglielmo Gorni (“Dante. Storia di un visionario”, 2008) che “dopo anni di studio del poema e delle altre opere” non vuole accreditare “pie leggende” sull’Alighieri. Gorni delinea una specie di “ritratto in piedi” del grande poeta, partendo da un principio: “Poche certezze e molti dubbi” ne segnano la vita sin dalla nascita. Gorni ricorda che “non si può dire neppure quando cominciò, per Dante, il periodo ravennate del suo esilio. I pareri dei dantisti sono al riguardo molto divisi”. Soprattutto per carità di patria, ad esempio, Giovanni Pascoli opinava che tutta quanta la “Commedia” fosse stata composta in Romagna, soprattutto perché la selva oscura del primo canto sarebbe ispirata dalla pineta di Classe, allora estesissima rispetto all’attuale, di cui ad ogni buon conto è menzione nel celebri versi del “Purgatorio” (c. 28). Quelli della “divina foresta spessa e viva”, le cui fronde tremolavano per l’aura dolce che Dante avverte.

Gorni conclude: “Bisognerebbe dire agli amici di Ravenna” che la pineta di Classe “non può ispirare due selve diversamente connotate”, quella “aspra e forte” del primo canto e questa amenissima dell’Eden.

Inoltre, Dante non cita i nomi né del marito di Francesca né dell’assassino di entrambi.

Scrive Gorni: l’episodio di Paolo e Francesca “ignorato dalle cronache contemporanee”, è “inventato dal nostro autore” che aveva dovuto conoscere Paolo nel 1282 a Firenze quando fu capitano del popolo e conservatore della pace.

Antonio Montanari