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Tutti santi. Cioè felici

Santi. È proprio così che Dio vuole l’uomo. E non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, anacquata, inconsistente. Gesù lancia un appello alla santità e il suo invito è una scossa ad alta tensione che ci risveglia da un certo sopore. Una vocazione universale che supera la schizofrenia tra spiritualità e pastorale, tra contemplazione e azione, tra Marta e Maria.
A questa vocazione che ha come immediata conseguenza la felicità, è dedicata la Lettera Pastorale per l’anno 2018/19 del Vescovo di Rimini (edizioni ilPonte): Vi annuncio una grande gioia, sottotitolo Tutti chiamati alla santità, con l’importante tiratura di 7.000 copie.
Abbiamo chiesto ad alcuni lettori, un giudizio personale sulla Lettera Pastorale e i temi che la pervadono.

Quel regalo prezioso

Ad una lettura spregiudicata, priva di ogni pre-comprensione, sia positiva che negativa, la lettera pastorale del vescovo Francesco sorprende per il regalo che contiene.

Un regalo duplice. Da una parte Francesco ci regala se stesso, la sua personale esperienza. L’incipit racconta proprio l’impressione (una “scossa” egli la chiama) ricevuta dalla lettura della esortazione apostolica di papa Francesco, Rallegratevi ed Esultate. Il nostro vescovo si mette in gioco, si spoglia degli abiti istituzionali (o forse proprio per questo li indossa nella maniera più vera) e, da semplice cristiano che ascolta il Papa, ci narra la sua esperienza di uomo alla ricerca e “in cammino”.

Il secondo regalo coincide con il cristianesimo stesso, qui potentemente ricordato a tutti i lettori nella sua intima essenza. Il cristianesimo è una mano tesa verso di noi, la mano tesa di Colui che ci ha fatto. Quel che da sempre cerchiamo, che filosofi e intellettuali di tutti i tempi hanno affannosamente rincorso – il logos, la ragione di tutto -, si fa incontro a noi nella più assoluta semplicità. È questa la ragione profonda della letizia che è indicata come cifra costitutiva dell’uomo che vive nella fede.

È questa la sorpresa più grande, ovvero la presenza di una compagnia al nostro difficile cammino: la compagnia di Dio all’uomo, ovvero la Chiesa, visibile nei volti concreti dei “santi della porta accanto”.

Il vescovo Francesco stesso si fa nostro compagno, così da essere noi stessi compagni di cammino per ogni uomo.

Il regalo più grande è proprio questa possibilità di trovarsi insieme per scoprire quel “Tu che rendi me me stesso”, quel “Tu che mi fai”, espressione così amata non solo da don Giussani, come ricorda Francesco, ma anche dalla mia cara amica Marta, sconosciuta nella vita terrena ma mai come ora presente alla mia vita stessa.

La compagnia dei santi della porta accanto, anche quelli che fisicamente non sono più prossimi.

Ecco l’impagabile regalo che si scopre nel cammino qui proposto verso la santità, ovvero verso la nostra più piena umanità.
Emanuele Polverelli, insegnante

La gioia che fa trasalire

Vi annuncio una grande gioia: questo titolo che il vescovo Francesco ha scelto per la Lettera, che ci è familiare perché rappresenta l’annuncio del Natale del Signore, già contiene due elementi molto interessanti.

Innanzitutto la gioia, il gaudium. Come succede talvolta, questa parola latina -gaudium – contiene una ricchezza di significato che la traduzione italiana fatica a rendere: è la gioia pura, quella che fa trasalire, che sale da dentro e si manifesta visibilmente, anche in modo eclatante.

Papa Francesco ci ha ormai abituati all’uso di queste parole, gaudium e laetitia, ripetendo che al cuore dell’annuncio cristiano sta la notizia di un Amore incondizionato e affidabile, che soddisfa le aspirazioni più grandi di pienezza e felicità dell’uomo.

Ricordo che, in una sua omelia, affermava che ogni fedele, uscito da messa, dovrebbe avere stampata nel viso e nei gesti una gioia incontenibile.

Il secondo elemento è appunto l’annuncio, che solo il Vangelo di Gesù può esprimere.

Nella mia esperienza di accompagnatrice di catecumeni ho toccato con mano che lo stupore dell’incontro con Gesù è accaduto per opera del Vangelo, non per quello che potevo dire né per come lo dicevo.

Comprendo quindi che, diversamente dalla prassi consueta del genere, il vescovo Francesco abbia scelto di usare innanzitutto il Vangelo secondo Luca, per guidarci in un percorso di riflessione sulla santità, tema-guida della Lettera.

Consci del nostro essere fragili, sentiamo la santità come una meta per pochi, come ideale ascesi che trascende la comune e povera umanità. “La classe media della santità” è la felice definizione del Papa in Gaudete et exsultate, per includerci tutti nell’invito a viverla concretamente, nella normalità della nostra vita.

Il vescovo Francesco ha seguito questa stessa linea, calando l’annuncio evangelico nel movimento circolare delle sollecitazioni che ci pone la vita e delle indicazioni cammino che ci dona il Vangelo: così la santità ci appare concreta e vivibile e non un modello astratto ed irraggiungibile. Fede, conversione, povertà, preghiera, compassione, discernimento, letizia sono la traccia scelta, declinabile nelle giornate di ognuno, nell’unicità di ogni persona.
A mons. Lambiasi un pensiero grato infine anche per averci ricordato che la santità si vive insieme, che è nel popolo ed è un cammino di popolo.
Mirna Ambrogiani, responsabile Servizio Culturale Diocesi Rimini

L’allegria del cristiano

“Se anche il sale perdesse il sapore… servirebbe solo ad essere calpestato dagli uomini”. La domanda iniziale della Lettera è fondamentale: ci aiuta ad aprire gli occhi sulla nostra realtà, perché se non siamo veramente cristiani, a cosa serviamo?

Importante l’accento sul fatto che siamo troppo attaccati ai nostri beni e – soprattutto – quello sulla fede che non si misura su di noi, come un abito sartoriale, ma sugli altri, su come li amiamo, li trattiamo e come ci rapportiamo con loro, comprese le persone a noi più prossime.

L’opzione dei poveri va sempre sottolineata ma non per giustificare opere frutto di “carità pelosa” bensì per vedere negli altri ciò che vedeva don Oreste: una opportunità!

Con la consapevolezza che ogni nostra azione va valutata – ancora don Oreste – dai “calli” che abbiamo sulle ginocchia, cioè dalla preghiera che precede ogni attività e ci pone nelle mani di Dio.

Colpisce anche l’accento sul discernimento, che deve essere caratteristica di ogni cristiano. Per essere tale, il discernimento deve poggiare sulla Verità che è Gesù Cristo: diventi lui il timone della nostra vita.

Come uomo, marito, padre e diacono, mi sento soprattutto figlio, e come figlio amo la figura del Padre Misericordioso, fonte di ogni gioia, santità e allegria per l’uomo. Ha proprio ragione mons. Lambiasi: un cristiano triste non è segno per nessuno, anzi è un controsegno.
Luca Mussoni, operaio, diacono

La santità nella quotidianità

Ore 6.00, la casa comincia riempirsi di rumori, si fa la fila al bagno, la ricerca dei vestiti, la preparazione della colazione e poi dopo aver accompagnato una figlia che ha perso l’autobus, via al lavoro. E qui si comincia con il telefono, e sono già le 19, una capatina in farmacia per acquistare uno sciroppo per un’altra figlia con la tosse e si arriva a casa.

A tavola solito aggiornamento (scuola, cose di casa, impegni del giorno dopo etc….), una figlia si prepara per uscire, un altro si è dimenticato di fare un compito e finalmente alle 21.30 i più piccoli vanno a dormire e i più grandi si ritirano nei loro letti.

Decido di prendermi un attimo di relax e leggo Vi annuncio una grande gioia. Tutti chiamati alla santità, lettera pastorale del vescovo Francesco e man mano che proseguo nella lettura mi tornano in mente le parole che don Romano Migani diceva a noi giovani di allora (sono passati quasi trent’anni) e, precisamente che la Santità non è solo la capacità di fare miracoli, ma vivere in pienezza quello che ci viene richiesto e/o donato nella vita di tutti i giorni: la chiamata al servizio sia come genitori, che presbiteri o di vocazione(cap. 1), la testimonianza gioiosa della scelta nei confronti del mondo (cap. 3), la forza della preghiera non solo come richiesta ma anche come ringraziamento per tutto quello che ci è stato donato (cap. 4).

Senza dimenticare il richiamo a non essere attaccati alle cose terrene (che prima poi svaniscono), alla capacità di discernere tra le cose buone e necessarie e quelle cattive e superflue; tutte sfaccettature splendenti nella stessa maniera di quel diamante che risponde al nome di santità che ognuno di noi può avere confidando nell’aiuto del Signore.
Paolo Nanni, coordinatore Famiglie Numerose – Rimini

Quattro mani, un telaio, una tessitura

Quattro mani. È una lettera a quattro mani: le mani paterne, calde e aperte di abbracci del vescovo di Roma, papa Francesco; e le mani maestre, delicate e giocose del vescovo di Rimini, Francesco Lambiasi.

Il primo siede al telaio con in mente il disegno delle otto beatitudini matteane (Mt 5,2-10), incarnate nei nostri giorni e abbigliate a festa (leggi “a santità”): i pantaloni della sopportazione, pazienza e mitezza; la T-shirt della gioia e del senso dell’umorismo; i guanti dell’audacia e del fervore; il maglione della fraternità e della preghiera.

Il secondo, invece, siede al telaio con in mente il disegno del pellegrinaggio cristiano, con le sue tappe: la chiamata, la salita della conversione, la rinascita e la contemplazione -come chi giunge al Tabor; poi la misericordia, perché prima o poi bisogna scendere, l’inevitabile croce per amare e, finalmente, la libertà dei figli di Dio.

Un telaio. È una lettera scritta su un telaio: quello della quotidianità, su cui i cristiani fanno trasparire, giorno per giorno, il volto di Cristo (Rallegratevi ed Esultate, 63). Una quotidianità ferma, stabile, sempre la stessa, come il telaio piantato a terra; una quotidianità ripetitiva, come il tran-tran della spola; fragile come i legni assemblati che supportano gli esili fili.

Una tessitura tutta d’un pezzo. È una lettera per tessere la vita tutta d’un pezzo: la tela della propria santità. Una tessitura tutta d’oro: splendente, poiché purificata nel crogiuolo della vita; eterna, poiché non marcisce; preziosa, perché è la stessa veste di Dio. Una tessitura per vestire non i cristiani nati con l’aureola, quelli perfettini, ma quelli della “classe media della santità”, quelli della “porta accanto” (RE 7). Una tessitura diversa per ognuno, come ognuno è una parola irripetibile di Dio. Una tessitura non perfetta, ma con falli, buchi e ricuciture, perché il santo non è l’eroe, ma colui che, caduto, si rialza perché amato.
Un filo rosso. È una lettera intrecciata con un filo rosso: la Parola di Dio (il Vangelo lucano di quest’anno), pronunciata dal Padre, vivificata dallo Spirito Santo, Presenza oggi del Risorto. Lui, il vero Tessitore della nostra gioia!
Elisabetta Casadei, docente Pontificia Università Gregoriana