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Ore 8, lezione di intercultura

intercultura---caritasCosa ci fa in classe un’animatrice della Caritas con un pacco di giornali e un cesto di mele? Lei è Daniela Della Guardia, operatrice del Centro educativo della Caritas diocesana e la classe è la 2 C della scuola media Bertola, una delle tante scuole riminesi che hanno aderito al progetto educativo proposto dalla Caritas e dal Campo Lavoro missionario 2016. Questa mattina stiamo assistendo a una lezione di intercultura: parola difficile che, come spiega Daniela, significa accettazione e dialogo tra culture diverse, partendo dalla conoscenza reciproca. Perché, per comprendere davvero le affinità e le diversità tra le persone (e le cose), occorre imparare ad osservarle.
Cominciamo dalle mele. Messe lì nel cesto, sembrano tutte uguali e un po’ è vero ma, se le prendi una a una e le guardi da vicino con attenzione, vedrai che sono anche tutte differenti…  “Ho scelto questa mela perché sembra che abbia i capelli…”, “io ho preso quest’altra perché ha due puntini neri come un vampiro…“io ho scelto quella più brutta perché non l’avrebbe presa nessuno…”. Tutti con la propria mela in mano, i ragazzini la scrutano nei minimi particolari e, una volta riposta nel cesto, sono anche in grado di riconoscerla”.
Cosa abbiamo imparato con questo gioco? Che per comprendere davvero le persone nuove dobbiamo osservarle con attenzione, accettandone le caratteristiche e le differenze. Perché anche noi in classe siamo tutti diversi (per aspetto fisico, carattere, gusti personali) e nessuno è più importante degli altri…

Come andare d’accordo tra diversi
Certo può non essere sempre facile accettare le caratteristiche degli altri. Come racconta Partly Cloudy, un cortometraggio animato del 2009, compreso nel kit di supporti didattici e che viene proiettato in classe. Il filmato racconta la storia della cicogna Peck addetta alla consegna dei neonati (umani e animali) “fabbricati” dalle nuvole. Il lavoro diventa duro quando a Peck capitano cuccioli pericolosi: coccodrilli, porcospini, montoni. All’inizio vorrebbe rinunciare ma poi tutto si risolve quando Peck impara ad attrezzarsi con una giusta armatura. “Ecco – spiega l’animatrice – anche noi dobbiamo trovare gli strumenti giusti per rapportarci agli altri quando sono molto diversi da noi. Senza escluderli ma cercando un compromesso tra le nostre e le loro caratteristiche. Trovando un modo per andare d’accordo, con pazienza, rispetto, collaborazione…  Ma anche con tenacia, fiducia, allenamento…”

Il valore del gioco di squadra
Imparando a cooperare con gli altri, i risultati non mancheranno. Ce lo insegna l’ultimo gioco proposto in classe.. Bisogna mettersi in piedi su un foglio di giornale e immaginare di trovarsi su una piccola zattera in mezzo al mare. Poi occorre attraversare l’aula, sempre restando sulla zattera, senza mettere i piedi a terra, perché altrimenti si cade in acqua rischiando di affogare… Dopo un primo momento di smarrimento, i ragazzi si buttano a capofitto in quel nuovo gioco e iniziano a scivolare freneticamente sul pavimento per raggiungere l’altro lato della stanza. Sotto i loro piedi i fogli di carta si stracciano, molti cadono in mare, altri sono divorati dagli squali, altri ancora restano indietro, solo qualche fortunato arriva a destinazione tra le risate generali… Fino a quando l’animatrice interviene con decisione: “Perché correte e non pensate anche ai vostri compagni in difficoltà? Non vi avevo detto che vince chi arriva prima ma che questo gioco finisce quando arrivano tutti. Come? Bastava mettere  i fogli di giornale uno dietro l’altro in modo da costruire un ponte di zattere. Così tutti, proprio tutti, avrebbero potuto attraversare l’aula semplicemente camminandoci sopra…”
È quello che si chiama il gioco di squadra. Non la somma dei singoli talenti ma la loro moltiplicazione all’ennesima potenza. I bambini seguono il consiglio, si mettono in fila, costruiscono il ponte di carta e, in men che non si dica, attraversano senza difficoltà l’immaginario mare. Come non averci pensato prima?

Alberto Coloccioni