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L’Unità Pastorale “La Trasfigurazione”

All’estremo Sud della nostra Diocesi, fra le Marche e la Romagna, all’ombra di un improbabile castello, incontriamo l’Unità Pastorale “La Trasfigurazione”, con don Tarcisio Giungi moderatore, don Mauro Angelini e don Alberto Pronti. È la fraternità sacerdotale di Tavoleto, preposta al servizio pastorale di sette parrocchie, con undici chiese succursali (un tempo parrocchie), distribuite in sei Comuni, con un piccolo lembo in un settimo.
Nella regione Marche, in provincia di Pesaro-Urbino, troviamo i Comuni di Tavoleto, Auditore e Sassocorvaro, con le parrocchie di Casinina, Tavoleto e Valle Avellana; in Romagna, provincia di Rimini, i Comuni di Montegridolfo, Mondaino, Saludecio e un frustolo di Montefiore Conca, con le rispettive parrocchie a cui si aggiunge la parrocchia di Trebbio di Montegridolfo e la celletta di Levola in Montefiore.

“Don Alberto ed io – spiega don Tarcisio –  siamo arrivati in questa Zona nel 2013; don Mauro, già parroco a Saludecio, si è aggregato a noi nel 2015. Don Dino Gabellini, da “sempre” a San Pietro di Montegridolfo, continua ad essere, col nostro aiuto, amministratore di quella parrocchia”.

Avete chiamato la vostra Unità pastorale “La Trasfigurazione”. Perché?
“Nella chiesa di Auditore c’è una pittura muraria raffigurante la Trasfigurazione di Gesù fra i due momenti di annuncio della sua passione. Ci è sembrata una raffigurazione significativa e programmatica anche per il nostro territorio: la fatica e le difficoltà che dobbiamo affrontare, come singole comunità e come Chiesa, hanno bisogno di essere illuminate dalla trasfigurazione a cui siamo chiamati tutti insieme”.

Questo per voi preti può essere un buon programma. Ma la gente come la pensa?
“È ovvio che per la gente la fatica maggiore è quella di non vedere più il prete nella sua chiesa e nella sua canonica… non lo vede più a spasso per il paese come succedeva una volta. Questa è la fatica da affrontare e superare per giungere a quella trasfigurazione che ci fa sentire un’unica famiglia nella medesima Chiesa”.

E la vastità del territorio non crea problemi?
“Certamente. A cominciare da noi preti quando dobbiamo spostarci rapidamente da una chiesa all’altra. Ma la fatica più grossa è della gente. Trattandosi di paesi normalmente piccoli e spopolatisi negli ultimi decenni, pochi sono gli elementi di vicinanza tra le comunità, fino ad un tempo molto recente. L’unico tratto che davvero unisce tutti è l’essere terra di confine, all’estremo sud della nostra diocesi. A ciò si aggiunge lo spiccato senso di appartenenza al proprio territorio che talvolta sfocia nel campanilismo. Tutto ciò rende insieme difficile e affascinante il tentativo di creare, pur nelle diversità, un’unica zona pastorale, composta di comunità medio piccole e, talvolta, piccolissime, chiamate a camminare insieme pur mantenendo la propria identità”.

Ecco appunto! Come è possibile creare questa unità, garantendo a ciascuno la propria identità?
“Prima di tutto bisogna capire che non si tratta semplicemente di sopprimere e aggregare parrocchie piccole ad altre più grandi, ma mettere in rete, in relazione, comunità diverse, in uno slancio di pastorale d’insieme, tenendo conto del territorio e dei mutamenti sociali in atto. Abbiamo di fronte due prospettive sulle quali ci confrontiamo e che saranno la sperimentazione dei prossimi anni: da una parte ci stiamo chiedendo se sia opportuno che ogni parrocchia abbia un particolare prete come referente, pur essendo tutti responsabili di tutti. Questa soluzione però potrebbe portare a ricadere nei particolarismi, nel campanilismo di prima.
Oppure dobbiamo cercare di tenere duro nel conseguire il progetto unitario, superando le comprensibili resistenze della gente e pazientando sulla lentezza che tale processo può richiedere”.

Dalle “civitas” romane siamo passati ai villaggi, quando la gente trovava nell’agricoltura lavoro e sostentamento. Adesso, con l’economia industriale e turistica, stiamo assistendo al fenomeno inverso: le campagne si stanno spopolando. Questo fenomeno sociologico tocca anche l’organizzazione ecclesiale?
“Per forza di cose. Le piccole comunità non sono più autosufficienti e inoltre non ci sono neanche i preti per accontentare tutti. Il mondo è profondamente cambiato e la Chiesa, per annunciare il Vangelo, non può limitarsi a perpetuare ciò che si è sempre fatto. Oltre a ciò occorre tenere conto, come ho detto, dell’evidente calo numerico dei preti, che non permette più la semplice equiparazione “un campanile, un prete”. Se anche i preti fossero in numero sufficiente, cambierebbero forse le modalità, ma non l’esigenza di un cammino comune.  Non si sa bene ancora dove si andrà a parare, talvolta sembra di navigare a vista, ma la costa dietro di noi è stata decisamente lasciata”.

Ma in questo processo di unione e comunione appena intrapreso ci saranno anche aspetti positivi.
“Provo a riassumerli quasi a slogan. Un primo aspetto positivo è l’apertura di orizzonti: la comunione ci porta a scoprire la bellezza del confronto e dello scambio. Gli operatori pastorali soprattutto hanno sperimentato l’uscita dall’isolamento attraverso esperienze belle vissute insieme. In secondo luogo lavorare “in squadra” permette di vivere iniziative più intense e spiritualmente ricche, grazie anche al maggior numero dei partecipanti. Un terzo aspetto, forse meno visibile, ma certamente importante, è la progettazione pastorale comune, sia a livello generale sia di settore.
Infine, un quarto aspetto positivo, forse il più importante, è quello che riguarda i laici che si stanno assumendo progressivamente maggiori responsabilità e, seppure con fatica, alcuni vengono riconosciuti come naturali punti di riferimento”.

Abbiamo parlato delle Comunità e delle reazioni della gente. Parliamo un po’ anche della vostra fraternità sacerdotale: come vi organizzate, quali momenti vivete insieme, come vi distribuite i compiti pastorali?
“Abitiamo tutte e tre qui a Tavoleto e questo ci permette di avere momenti comuni di preghiera: le Lodi del mattino, il momento culturale del lunedì, la preghiera ed il confronto sulla Parola domenicale il giovedì, con la presenza anche del diacono Pino Pasolini. Ogni tanto durante l’anno facciamo un po’ di revisione di vita. In estate, con alcuni laici, facciamo tre giorni residenziali per la revisione pastorale dell’anno vissuto e per la programmazione dell’anno seguente.
Oltre a questo ognuno di noi segue settori specifici: don Mauro si occupa in tutta la Zona della preparazione dei battesimi, dell’anagrafe parrocchiale, della Comunità Capi … Don Alberto segue gli Scout e la pastorale giovanile con l’oratorio don Bosco. Io mi occupo dei singoli Consigli pastorali, della Segreteria di Zona, dell’economia e della catechesi. Alla domenica ci distribuiamo nelle chiese dove è prevista la messa”.

Per concludere è necessario uno sguardo al futuro.
“Il futuro è nelle mani di Dio e nessuno può possederlo. Non sappiamo quale sarà il cammino delle nostre comunità in un prossimo futuro. Dio però chiede la nostra collaborazione con tutta l’intelligenza e l’impegno di cui siamo capaci”.

Egidio Brigliadori