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Vita da carcere – Le ali (creative) della libertà

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Il più frequente compagno di cella, in carcere, è la noia. Ma questa inattività non procura alcun vantaggio, né a chi la subisce, né a chi la propina come punizione per chi è finito in prigione per qualsiasi motivo.
Il carcere può e deve essere qualcosa di più, un luogo in cui il tempo viene impiegato in modo proficuo, per conoscere se stessi, per imparare qualcosa di nuovo, e per cercare di uscire meglio di come si è entrati.
Nasce con questi intenti, il “Caffè Corretto”, un spazio di confronto e incontro gestito da un operatore della Caritasdiocesana riminese, che si svolge tutti i martedì dalle 13 alle 15.
Queste attività sono finanziate dal Comune di Rimini attraverso il Piano di Zona per la Salute e il Benessere Sociale e realizzati dall’associazione Madonna della Carità grazie anche all’importante ruolo rivestito dai volontari del progetto ”sportello carcere – centro di ascolto”.
La finalità è quella di far socializzare i detenuti e farli interagire in un contesto diverso, fornendo loro una serie di impegni diversi da quelli che solitamente il carcere offre; un momento di pausa e socializzazione assimilabile a quello di un caffè al bar appunto, di un caffè letterario per meglio dire, di un caffè “corretto” (nella doppia valenza di “conforme ad educazione” ma anche di “bevanda con aggiunta di un qualcosa in più”).
Dallo scorso ottobre sono diverse le attività che si sono susseguite all’interno dei Casetti, tra cui una di teatro, a cura dell’associazione Klangwelt, e un’altra dedicata alla realizzazione dei regali per la festa del papà (in particolare delle cornici).

Versi oltre la “gabbia”. Tra le varie forme espressive capaci di regalare un momento di libertà autentica anche dietro le sbarre, non poteva mancare la poesia, “veicolo d’eccellenza dei sentimenti e delle ragioni del cuore” usando le parole della poetessa ed insegnante Silvia Bernardi, dell’associazione Scuola e Società: da poche settimane ha concluso con un gruppo di ospiti dei Casetti un laboratorio articolato in cinque incontri, al suo secondo anno, proprio dedicato alla poesia e letteratura in chiave educativa e pedagogica. “Desideravo molto fare questa iniziativa con i carcerati che non avevo mai avuto occasione di visitare. E alla fine psso dire che per me è stata oltre che una grande gioia, un’opera di misericordia e un’esperienza culturale di altissimo livello” afferma la professoressa che ha lavorato con una media di 12-13 persone. Il programma didattico non è stato meno rigoroso di quelli già attuati in altri contesti e con altri “alunni” speciali, nelle varie iniziative seguite dall’associazione sul territorio. Ma ai Casetti la poesia è stata vissuta soprattutto nel suo aspetto più umano, non senza un approccio a tratti ludico, con gli stessi detenuti pronti anche ad iniziare ad abbozzare qualche testo poetico.
“Nel contesto del carcere, dove non esistono i ruoli e le etichette che fuori, nella vita di tutti i giorni, ci impediscono di conoscere veramente le persone, ho potuto incontrare prima di tutto degli uomini” commenta Silvia Bernardi. “Ho trovato persone che nella loro nudità, hanno tirato fuori sentimenti profondissimi, soprattutto l’amore per la propria famiglia, la madre, i figli. Persone belle, ci tengo a dirlo, disarmate e disarmanti al tempo stesso, che mi hanno arricchita. Nessun uomo in nessuna condizione e in nessuna condanna può esaurire se stesso: siamo più grandi dei nostri limiti e dei nostri sbagli”. È quello che la poetessa ha sperimentato in prima persona con questo laboratorio. “La poesia in particolare è un elemento di umanizzazione estremo, il più grande veicolo di sentimenti profondi ed inconsci: paradossalmente, dentro il carcere, la poesia ha concesso un vero momento di libertà”.

Sfogo alla creatività. Tra i laboratori appena conclusi c’è anche un ciclo di tre incontri di “libero sfogo della creatività” rivolto ai detenuti della sezione Vega (transessuali). Il breve corso, condotto da Cristina Brolli, volontaria dell’Associazione Nati per Leggere, biblioteca di Rimini, si è proposto di realizzare con i materiali a disposizione – tra cui vari tipi di carta, riviste, quotidiani, colla, tempere o acrilici, o matite, e altro – un lavoro espressivo, grafico pittorico.
“Il fine di questa attività – racconta Cristina – non è il bel risultato, il disegno grazioso, ma dare la possibilità di esprimersi con i mezzi a disposizione. Non è una lezione tecnica sul come, ma un momento di condivisione, di parole e di sguardi, di divertimento e di libertà”.

Salute e sport… anche in cella. Altri due corsi sono invece appena cominciati. Il primo è a cura di Davide Curradi, giovane laureato in scienze della formazione e personal trainer, che sta conducendo un laboratorio su salute e benessere e sport.
“Ho fatto due incontri, entrambi molto partecipati – racconta Davide – nel quale abbiamo parlato di salute, attività fisica e alimentazione. Mi è piaciuto molto l’approccio perché non è quello classico della lezione, ma c’è un continuo scambio e tanta attenzione. Ho cercato di insistere sull’importanza dell’attività fisica per il benessere. Alcune delle persone presenti hanno svolto nella loro vita lavori pesanti e per questo erano già avvezze all’attività”.
Un altro aspetto importante, continua Davide, è quello dell’alimentazione. “Qui si riscontrano anche delle difficoltà, perché ovviamente in carcere non c’è la libertà di mangiare quello che si vuole. Per questo l’incontro è stato molto seguito, e devo dire che sono davvero contento”.
Ora Davide sta strutturando un percorso come personal trainer nella sezione a custodia attenuata Seatt, che si svolgerà da martedì 17 maggio fino a metà giugno, una volta a settimana dalle 9 alle 11.

Il movimento come terapia. L’ultimo laboratorio – tra quelli appena cominciati – è invece dedicato ai detenuti della sezione Vega, ed è un corso di Danza Movimento Terapia, a cura di Giulia Landi dell’associazione Art Therapy Italiana di Bologna. Si tratta di una forma di terapia che utilizza il movimento e l’espressione del corpo come mezzo di integrazione e crescita emotiva.
“Lavorare con un linguaggio non verbale – spiega Giulia – può essere un modo per esprimere la parte più autentica di sé. D’altronde siamo in una situazione in cui il corpo ha già parlato molto, è stato un elemento importante delle loro vite”. Il tema scelto per gli incontri è quello del paesaggio. “Lavoriamo non solo col corpo, ma anche con materiali artistici e immagini”.
Il laboratorio è appena cominciato ma Giulia si dice soddisfatta. “I corsi sono partecipati, tutti si sono impegnati molto e sono entrati nel lavoro proposto”.

Tante le attività proposte dal centro di ascolto della Caritas – a cui partecipano una media di 10, 15 detenuti – tra cui anche corsi più “pratici” come l’ “Orto disinvolto” e altre attività di artigianato che si concluderanno il 28 maggio con l’esposizione degli oggetti realizzati dai detenuti alla Festa delle famiglie che sarà organizzata al Parco Marecchia.
Anche ai Casetti le ore possono trascorrere veloci, in attesa del prossimo obiettivo.

Stefano Rossini
Alessandra Leardini