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E io sarei un animale?

Raffaele Venturini con la dottoressa Lara Vittori e il gatto Traballo, mascotte dello studio veterinario

Come se la passano gli animali domestici di casa nostra? Dipende dai punti di vista. Certo che a vederli in giro con i cappottini e in alcuni casi – l’ho visto con i miei occhi – anche con le scarpe alle zampe, qualche domanda tocca farsela.
L’antropomorfizzazione dell’animale domestico, sempre più simile a un bambino, è una tendenza che sta investendo la nostra società. Negozi per animali assimilabili a negozi per neonati ci mettono davanti a vestitini con le balze e a torte di compleanno, mentre le anagrafi canine ci parlano di nomi “umani” dati a cani e gatti, cani soprattutto. Cosa sta succedendo?
“È cambiato il ruolo dell’animale domestico – spiega Raffaele Venturini, veterinario di Rimini, in ambulatorio dal 1989 –  prima l’animale aveva una sua utilità, adesso le cose sono cambiate”.
Venturini cita il cane da caccia, il cane da guardia ma anche il gatto che serviva a cacciare il topo. Nessuno fa più il suo dovere naturale. “Porto ad esempio il cane da guardia. Ne abbiamo pochi, anche perché sono intervenuti i sistemi di allarme. Ma non è questo il punto del discorso. La questione è che il ruolo dell’animale è diventato molto intimo, molto stretto, di una vicinanza emotiva molto forte. Basti pensare che prima l’animale viveva pressoché fuori dalle mura domestiche. Adesso non è più così”.
A supporto di questo, secondo un rapporto dell’Eurispes, il 53% dei cani dorme nel letto con il suo padrone.
Ma non è il cane il quadrupede con cui si ha il rapporto più stretto. Strano a dirsi ma “è il coniglio l’animale al quale i padroni si legano di più – continua Venturini – perché vive praticamente in braccio all’umano. Per lo stesso motivo i cani piccoli hanno un legame molto stretto con i loro padroni, perché il rapporto è molto fisico”.
Tutti questi elementi: l’avvicinamento nel mondo domestico, la vicinanza fisica e la mancanza di un’utilità dell’animale hanno reso quest’ultimo il “piccolo di casa” che quando è malato, per esempio, “genera negli adulti più ansia che nei confronti dei figli, perché l’animale non ti può comunicare il suo malessere per cui è vissuto con maggiore apprensione”, termina il veterinario.

Siamo di fronte a un rapporto squilibrato? Credo proprio di si, visto che non esiste distacco e visto che “l’animale è diventato il nostro migliore amico. Questo ha delle conseguenze tragiche anche nel momento della sua morte, che si trasforma in una vera e propria tragedia familiare”.
Molto diverso è la relazione animale/morte in base all’età del padrone. Infatti “gli anziani hanno un rapporto più sereno con il loro animale. Mettono in conto la morte e la vivono con più serenità”. Questo nonostante l’animale si riveli l’unica “affettività” presente nella sua vita. Ma è noto che il concetto di morte, in un anziano, è già stato abbondantemente metabolizzato.
Altro capitolo sul fronte dell’avvicinamento del mondo animale a quello umano è il fattore cibo. Oltre ai negozi di cui si accennava prima bisogna fare i conti con spot pubblicitari di bocconcini serviti su piatti di porcellana, sempre più curati nelle materie prime, eccetera, eccetera. Si tratta solo di business? Soldi se ne spendono eccome anche se “sul tema del cibo – continua Venturini – il discorso è diverso. La migliore qualità ha migliorato la vita degli animali che sempre più spesso arrivano a fine vita; e anche la vita dei padroni perché si trovano tra le mani dei prodotti molto comodi che, a mio parere, hanno contribuito alla diffusione degli animali domestici nelle nostre case”.
L’esigenza di avere un rapporto emotivamente sempre più intimo con l’animale, il cane in particolare, ci viene confermato anche da Massimiliano Lemmo, presidente di “E l’uomo incontrò il cane”, che gestisce molti canili del territorio, 14 per la precisione, compresi Rimini con le sue 17mila iscrizioni all’anagrafe canina e Riccione con 6mila. “La prima cosa che ci viene chiesta è che il cane sia piccolo e bianco”. C’è poi una certa leggerezza nel prendere un animale che si trasforma in rinuncia di proprietà.
“Purtroppo capita molto spesso che ci si lasci intenerire da una foto su internet – suggerisce Lemma – ma ci si scontra con la realtà che può diventare molto difficile o comunque che prevede un impegno per tutta la famiglia”. Nonostante sul territorio, i canili facciano molta attenzione prima di affidare un cane ad una famiglia c’è sempre la giungla di internet e ci sono le associazioni che più o meno seriamente affidano gli animali a famiglie non molto convinte. “Ci sono fenomeni di randagismo diffusi nel sud Italia che si prova ad arginare con degli affidi nei territori del nord. Dobbiamo comunque stare attenti e prendere un animale solo se si è perfettamente consapevoli”.
Quello del randagismo al sud è una questione che il dott. Venturini interpreta, invece, da un altro punto di vista: “Tutti i meticci che sono sul nostro territorio arrivano dal sud Italia, questo perché a Rimini i cani non nascono più. Quando ho cominciato facevo due parti a settimana, adesso ne farò due in un anno. Questo è emblematico di un territorio ricco ma spesso non si fanno partorire i cani, non solo per paura del randagismo, ma perché non vogliamo che i nostri animali abbiano dei cuccioli. Ritengo che questo sia pericoloso perché è uno degli elementi che contribuisce ad allontanare l’animale dalla sua natura”.
Ma veramente gli animali sono trattati come gli umani? Forse. Sta di fatto che spulciando tra i nomi nell’anagrafi canine del territorio troviamo qualche Gaetano (Tano per gli amici), qualche Totò, Filippo e ben 8 Ettore a Verucchio.

Angela De Rubeis