Home Attualita “Don Oreste, un grande uomo di fede, un grande uomo di comunicazione”

“Don Oreste, un grande uomo di fede, un grande uomo di comunicazione”

Com’è apparso don Oreste sulla sua strada?
“Ho iniziato a fare il giornalista nei primi anni ’80, con il Sabato (settimanale cattolico pubblicato dal 1978 al 1993, ndr). Ad un certo punto sono rimasto per due anni senza lavoro. Poi, un giorno, Enrico Mentana mi ha chiamato al Tg5 dove sono stato caporedattore della cronaca e poi vicedirettore per 12 anni, prima al suo fianco, e successivamente a quello di Lamberto Sposini, due persone che stimavano tantissimo don Oreste. Non posso dire che siano cattolici e credenti, ma avevano una stima della persona, e per questa stima per me era facile proporre delle cose che riguardassero il mondo del volontariato, e soprattutto la battaglia che don Oreste stava facendo sulla prostituzione”.

Don Oreste ha lasciato un’impronta sul suo cammino?
“Una delle cose che mi piace ricordare del Don è la sua idea di servizio. Una parola che non è di moda e spesso equivocata, invece è un termine molto bello. L’idea di servizio è la cosa più bella del nostro mestiere di giornalisti. Pensare al giornalismo come servizio è anche un grosso vaccino verso l’egocentrismo così diffuso”.

Perché oggi è così difficile fare giornalismo come servizio?
“Qual è la logica del giornalismo? A cosa servono i mass media? Marxisticamente potremmo dire che i mass media sono la forma con cui il potere crea il proprio consenso. La logica in cui siamo tutti immersi, una logica feudataria. Quando ero ragazzo si diceva: «ah il medioevo, i servi delle gleba, la schiavitù dei neri d’America son cose lontane, son cose passate…». Non è così! Quello che vedo sempre, con chiarezza, nel nostro mondo, è il principio di asservimento, di schiavitù. Un principio che passa attraverso delle logiche di puro potere, e anche in un atteggiamento per cui se non ti protegge qualcuno non fai carriera, se non sei «di qualcuno» non sei nessuno e nessuno ti calcola. La logica dominante vuole che i mass media e i giornalisti siano tutti asserviti. È indifferente se a destra, a sinistra o al centro, politicamente parlando”.

È possibile sottrarsi a questa logica?
“È sempre possibile sottrarsi. Ci sono tre forze. La prima è la coscienza. Se tu ami te stesso a un certo punto ti ribelli alla logica dell’asservimento. Dentro tutti c’è un’esigenza del cuore che ci dice che non dobbiamo essere schiavi.
Il secondo punto sono gli altri, la forza della relazione, la forza di essere in rete ti può aiutare a ribellarti.
Per il primo aspetto ricordo un aneddoto. Una volta intervistai una persona molto lontana, da un punto di vista ideologico, dalla fede: Tiziana Maiolo. Lei è stata allieva di don Luigi Giussani al liceo. Le avevo chiesto cosa le era rimasto di quell’insegnamento. Mi rispose: «che l’argine al potere è il tuo desiderio, cioè è il tuo io». Il primo argine al potere è il tuo desiderio, il potere cerca di cancellare il tuo desiderio, desiderio di felicità, desiderio infinito, desiderio di giustizia.
Quindi il primo argine è il desiderio di libertà, la seconda cosa è la relazione con gli altri e il terzo, se proprio vogliamo, è la fortuna di un miracolo, la fortuna di un incontro. Alla fine tutta la vita si gioca su questa trinità: io, Dio e gli altri”.

Le associazioni, il volontariato, il cosiddetto terzo settore: potrebbero essere una fonte qualificata di informazioni?
“È difficile rendere in notizia questo mondo del volontariato, è difficile rendere notizia una buona notizia, è difficile anche superare le difficoltà che ci sono nelle gelosie reciproche tra le associazioni. È difficile in televisione vincere la noia che fa vedere la negatività della vita. Per esempio, la disabilità non è facile raccontarla in televisione. Però nel giornalismo italiano si sta creando una rete di persone attente, con una sensibilità a queste cose. Ultimamente in Mediaset ho gestito La fabbrica del sorriso” per Mediafriend Onlus. Ho capito chiaramente che la gente apprezza non il pietismo, apprezza l’essere secco nel raccontare le cose”.

Qual è il ricordo più presente, più vivo, che ha di don Oreste?
“Ho provato, preparandomi mentalmente, a questo nostro incontro, a pensare a un episodio specifico in particolare, ma non mi viene in mente. Ci sono tante piccole cose: quando abbiamo preparato insieme una puntata di Matrix, quando veniva in studio da Mentana, e quando mi telefonava lui personalmente: «ciao Alessandro sono don Oreste» per caldeggiarmi questa o quell’iniziativa, questa o quella cosa. E poi ricordo come mi chiedeva sempre di salutargli Lamberto Sposini”.

A suo giudizio, come era don Oreste in tv?
“Il suo atteggiamento è stato spesso discusso. Il fatto per esempio che lui andasse dappertutto, anche in programmi ritenuti squalificanti, ha portato delle critiche. Don Oreste era un uomo di Dio e aveva quella candida innocenza di uno che è al servizio di un altro. Non proponeva mai se stesso. Mentana, ad esempio, è un giornalista duro, che aggredisce gli ospiti. Con don Oreste era sempre molto rispettoso, delicato. Non perché fosse un prete, ma perché il modo in cui si poneva ti dava l’idea che avesse sempre qualcosa di davvero importante da dire.
Don Benzi ragionava così: non mi interessa chi me la fa dire o come me la fa dire o che cosa mi può capitare». L’urgenza di comunicare le cose sovrastava tutto e gli dava un sacco di libertà e autorità”.

E arrivava alla gente?
“Assolutamente sì. Anche in televisione funzionava perché era diretto, dire sincero è poco. Per certi versi mi ricordava Madre Teresa, non aveva nessun problema a dire sono qui sono qua, parlo sulla rete x, parlo sulla rete y, mi intervista Tizio, mi intervista Caio. Ma non perché non capisse o non sapesse o qualcuno non gliel’avesse detto che poteva essere strumentalizzato, frainteso, usato, deriso, ma perché proprio se ne fregava. C’era un po’ l’orma della santità. Quando ci parlavo ho sempre avuto l’impressione di qualcuno in cui Gesù Cristo aveva lasciato un’impronta notevole, in quella mia giornata, in quella mia settimana, in quel mio periodo sicuramente era un modo con cui Gesù comunicava con me. E lui era anche molto poetico. Nella sua grande praticità aveva qualcosa di poetico quando si perdeva nel particolare. Aveva quella poesia che riescono ad avere solo quelle persone che fanno qualcosa davvero”.

Francesca Ciarallo