Da 35 anni una scuola di accoglienza

    Casa Betania di Coriano, la prima casa famiglia nata in seno alla Comunità Papa Giovanni XXIII, è stata aperta il 3 luglio 1973 da una ragazza di Savignano, ospitando tre ragazzi: un down, un cerebroleso e un caratteriale grave. L’inizio della casa però si può far risalire alla sera del 27 dicembre 1972, in un incontro drammatico con un ex degente di ospedale psichiatrico di 30 anni. Egli viveva in una casa abbandonata, senza vetri, senza porte e senza riscaldamento, dormiva su una rete senza materasso e con una sola coperta per coprirsi; mangiava quando il fratello o i vicini si ricordavano di lui. Quella sera ricevette gli ospite abbaiando sull’uscio di casa.
    La ragazza, d’accordo col sacerdote Oreste Benzi che la accompagnava in quella visita, si mise al lavoro per reperire una casa dove ospitare persone in stato di abbandono. L’ente ecclesiastico “Madonna della Scala” mise allora a disposizione una casa colonica, alla periferia di Coriano, dopo averla rimessa a nuovo.
    Il 3 luglio, quando andarono ad abitarvi i primi ospiti, i lavori non erano ancora ultimati e il ragazzo incontrato a Natale era ricoverato in una clinica psichiatrica.
    Alla ragazza, che non poteva logicamente far fronte da sola alla situazione, avendo degli ospiti piuttosto difficili, si affiancò in un primo momento un seminarista e quindi una famiglia di Santarcangelo (4 persone) in ferie per quindici giorni. Alcuni giovani del paese, inoltre, frequentavano con una certa regolarità la casa.
    Verso la fine di luglio un giovane studente in medicina, di Coriano, attratto in parte dalla novità dell’esperienza, in parte dalla presenza di una ragazza alla quale era interessato, si mise molto cautamente a fare qualche lavoretto attorno a casa (costruì un pollaio per il ragazzo down, spianò la ghiaia nel cortile, tinteggiò qualche parete); alla fine dell’estate si era perfettamente inserito nell’ambiente. La sua presenza alla casa, divenuta definitiva, si rivelò in seguito estremamente efficace per l’educazione di alcuni ospiti.
    Un altro giovane, studente in pedagogia, si associò all’esperienza verso la fine dell’estate, sostituendo, durante la settimana, lo studente di medicina, assente per la frequenza all’università.
    Anche gli ospiti aumentarono: a metà settembre erano cinque, a dicembre sette e a febbraio 1974 nove. Ancora a febbraio lasciò la casa lo studente di pedagogia e giunse un giovane di Crema, in attesa del servizio civile sostitutivo (obiettore di coscienza), e un candidato al diaconato, mandato dal Vescovo ad experimentum per un anno.
    La presenza della Casa in un paese tanto piccolo suscitò vivaci reazioni nella gente: si potevano riscontrare posizioni di pieno appoggio, anche materiale (presenza di servizio, aiuto economico, accoglienza amichevole…), o posizioni di netto rifiuto per elementi indesiderati (La Casa dei matti… così era chiamata).
    Non pochi genitori, almeno in un primo momento, vietarono categoricamente ai loro figli più giovani di frequentare la comunità. Nonostante tutto, si formò attorno a questa esperienza un nutrito gruppo di giovani, della parrocchie e del Vicariato, che seppe dare grande vivacità alla Casa stessa e portare alla discussione di tutta la popolazione (anche con uno spettacolo teatrale) le problematiche relative all’emarginazione dei disabili e disadattati sociali.
    Le difficoltà interne, generate principalmente dalla presenza di alcuni ospiti caratteriali gravi o dimessi da carceri minorili, e le difficoltà provenienti dall’ambiente esterno, non fecero desistere gli educatori dai loro propositi, anzi fu questo un motivo per iniziare una vasta azione di sensibilizzazione in tutto il paese, culminata in una assemblea pubblica, presenti le autorità. Nacquero così buoni rapporti con la Giunta comunale che fece proprie alcune proposte degli educatori.
    Riguardo alla situazione interna della Casa, alcuni ospiti poterono essere inseriti nel lavoro e successivamente anche nelle loro famiglie d’origine.

    Egidio Brigliadori
    Da: Esperienze alternative all’emarginazione… Tesi di laurea, 1975