Home Attualita Corridoi umanitari. A che punto siamo?

Corridoi umanitari. A che punto siamo?

La speranza è sempre l’ultima a morire. Una frase che si ripete spesso e che mai come oggi dona fiducia e coraggio al progetto intrapreso dalla comunità santarcangiolese sull’accoglienza, in città, di un giovane profugo siriano: Mohamad Aiman Saibourah, 37enne proveniente dalla provincia di Homs (nella foto, con un volontario di Operazione Colomba). Quando nella tarda primavera è stato abbozzato il progetto relativo all’ospitalità di Aiman attraverso il corridoio umanitario Siria-Libano-Santarcangelo, gli animi erano speranzosi ma anche timorosi a causa della realtà che si vive oggi in Italia. Per fare il punto sulla situazione, è stato organizzato un incontro presso il Centro parrocchiale di Santarcangelo al quale hanno partecipato circa un centinaio di persone.

La situazione di Aiman

Dopo una breve introduzione del parroco don Andrea Turchini, tutti hanno ascoltato commossi le parole di Alberto Capannini, il volontario di Operazione Colomba (Comunità Papa Giovanni XXIII) invitato alla serata. Alberto ha spiegato al pubblico perché il progetto di accoglienza del giovane siriano Aiman si sia bloccato: “Sarebbe dovuto arrivare ai primi di novembre, ma è stato fermato qualche settimana fa dal nostro Governo che non gli ha concesso il visto. Perché? Quando una persona decide di partire, viene interrogato dall’ambasciata italiana al fine di verificare che non ci siano stati coinvolgimenti con atti di guerra o di violenza. Aiman, durante l’intervista, ha raccontato di essere stato vittima di episodi di violenza da parte di membri dell’Isis per aver portato le condoglianze ai libanesi dopo l’uccisione di alcune persone. Il solo fatto, però, di aver nominato l’Isis ha impedito la sua partenza. E non conta che lui fosse ‘dalla parte dei buoni’: è sufficiente il fatto che in qualche modo sia venuto in contatto con gli estremisti islamici. Non sono bastati chiarimenti e rassicurazioni: la partenza è stata bloccata e si dovranno attendere dei mesi per riprovarci”.

La comunità non si ferma

Durante l’estate, però, le cose sono andate avanti. È stato creato un gruppo di persone che ha curato l’attività di sensibilizzazione e di raccolta fondi e – allo stesso tempo – si è cercato di reperire una casa dove ospitare Aiman. Ed è stata trovata: l’appartamento è stato messo a disposizione in comodato gratuito da una famiglia della comunità santarcangiolese e, proprio in questi giorni, si stanno attivando le utenze e stanno procedendo i lavori per sistemare gli interni. A questo punto, anche se il giovane per ora non potrà arrivare, si è giustamente pensato di offrire ospitalità a qualcun altro che sia in situazione di bisogno.

Il nuovo progetto di accoglienza

Capannini, durante l’incontro, ha inizialmente proiettato un video registrato all’interno del campo profughi dove vive in Libano con gli altri volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII: con Operazione Colomba, infatti, l’Apg23 è presente da quattro anni all’interno del campo profughi libanese di Tel Abbas, dove i suoi volontari trascorrono la quotidianità, nelle tende del campo, assieme ai profughi siriani. Un campo che ospita una quindicina di famiglie, per un totale di circa 60 persone. “Assieme ai siriani – le parole di Paola, altra volontaria di Operazione Colombaabbiamo scritto un appello per chiedere la pace in Siria. È il primo realizzato dai civili”.

Inoltre, è stato illustrato il nuovo progetto di ospitalità. I ragazzi di Operazione Colomba hanno individuato una famiglia composta da cinque persone. Il capofamiglia è in serio pericolo di vita: è proprio lui che, assieme ai volontari della Comunità Papa Giovanni, ha realizzato la proposta di pace con la quale chiede che i siriani possano ritornare in patria in sicurezza, senza l’obbligo di arruolarsi o di finire in carcere. Si chiama Abd Elrahim Hsyan e gestisce un campo profughi e una scuola.

Proprio perché costruttore di pace, è stato minacciato di morte, e proprio queste minacce, sensibilmente concrete, rendono così urgente la necessità di una sua partenza. Abd Elrahim è un maestro elementare che desidererebbe rimanere nel suo Paese, con la sua gente, ma che si trova costretto a partire con la propria famiglia (la moglie incinta, due piccole bambine e la suocera).

Purtroppo – continua Capannini – ultimamente il Governo ha stretto molto sull’accoglienza di persone straniere in Italia, siano esse provenienti coi ‘barconi’ o attraverso i corridoi umanitari. Non è sicuro, dunque, che Abd Elrahim arrivi, potrebbe essere fermato in qualsiasi momento. Ma in questi giorni ci stiamo attivando affinché possa raggiungere l’Italia per la fine del mese di novembre. Alla vostra comunità chiediamo un atto di grande coraggio, ce ne rendiamo conto, ma siamo certi che ne varrà la pena. Il nostro sogno è quello di permettere a Abd Elrahim di continuare a lavorare sulla proposta di pace, quindi speriamo di inserirlo bene a Santarcangelo e di trovargli un lavoro flessibile, che gli permetta di non abbandonare il progetto. Non parla né italiano né inglese, ma questo è il problema minore”.

Dai racconti emerge chiaramente come la realizzazione di questa proposta di pace sia davvero fondamentale: tenendo conto che con circa 500mila palestinesi in Libano ci sono stati circa 20 anni di guerra civile, cosa potrebbe accadere con ben 12 milioni di siriani fuori dal proprio Paese?

Il dialogo con le istituzioni

Circa un paio di settimane fa, i volontari della Comunità Papa Giovanni XXIII hanno avuto un incontro al Ministero degli Esteri italiano, per spiegare la situazione di queste persone impegnate per la pace e per chiedere di non ostacolare il loro viaggio verso il nostro Paese, oltre che di trovare le adeguate misure di protezione affinché possano rimanere in Libano e continuare il loro progetto di dialogo. A questo proposito, anche la parrocchia di Santarcangelo ha scritto una lettera (325 firme raccolte) da presentare al Governo per chiedere sostanzialmente la stessa cosa, illustrando – contestualmente – il progetto di accoglienza di Abd Elrahim e della sua famiglia.

Don Andrea ha chiuso l’incontro ricordando la grandezza e l’importanza dell’impegno preso, e che il valore di queste azioni (oltre alla necessità immediata di togliere dal pericolo una famiglia intera) è fortemente educativo: “Quando qualcuno bussa, si va ad aprire. Noi – ha detto il parroco – stiamo creando un ponte che cambierà noi stessi e, forse, potrà essere d’esempio per un cambiamento più grande”. E le iniziative non si fermano: per sostenere i progetti di pace nelle zone di conflitto, Operazione Colomba ha organizzato una cena solidale chiamata “Dalla padella alla pace”, sempre presso il centro parrocchiale di Santarcangelo, venerdì 23 novembre alle 19.30.

A cura di  Roberta Tamburini/Simone Santini