Gesù di Nazareth e Paolo di Tarso nella prospettiva ebraica. Un incontro di grande interesse proposto dall’ISSR Marvelli, con esperti del dialogo fra ebrei e cristiani
Si può partire da un fatto di cronaca. L’11 novembre 2019 il sindaco di Trieste, ha voluto conferire la cittadinanza onoraria alla senatrice a vita Liliana Segre. Un consigliere è intervenuto contro la mozione, motivando il voto contrario con questa frase: «Segre ha detto che Gesù era ebreo: da cattolico mi sento offeso».
Certamente l’episodio è grottesco, tuttavia non va archiviato troppo in fretta. Tutti quelli che hanno ricevuto un minimo di catechesi sanno che Gesù è ebreo per jus sanguinis (figlio di donna ebrea) e per jus soli (nato a Betlemme) ed anche per jus culturae (frequentava la sinagoga).
L’ebraicità di Gesù non è un fatto marginale per i cristiani, negarla sarebbe negare il dogma dell’incarnazione. Infatti sin dai primordi l’ebraicità di Gesù ha fatto parte della professione di fede cristiana. Sant’Ignazio di Antiochia prima di morire martire a Roma (107 a.C.), ha scritto: « Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di David » (Lettera ai Romani, 7,1). Malgrado la storia europea sia stata percorsa per tanti secoli anche da sentimenti antigiudaici, tuttavia la chiesa non ha mai nascosto l’ebraicità di Gesù.
Nei tempi moderni fu papa Pio XI, il 6 settembre 1938 ‒ nell’addensarsi delle nubi nazi-fasciste della guerra e dello sterminio degli ebrei ‒ disse in una udienza: «Per mezzo di Cristo e in Cristo noi siamo i discendenti spirituali di Abramo. No, non è possibile che i Cristiani condividano l’antisemitismo… è inammissibile. Noi siamo spiritualmente semiti».
Dopo i terribili eventi della Shoah ebraica, il Concilio Vaticano II approfondì queste questioni attraverso il documento Nostra Aetate (1965; n° 4) fino alla dichiarazione della Pontificia Commissione per i rapporti con l’ebraismo (1985; III,1) in cui si dice esplicitamente «Gesù è ebreo e lo è per sempre».
«E voi chi dite che io sia?»
Su questa tematica affascinante, l’ISSR “Alberto Marvelli” ha proposto il 12 maggio 2025 un seminario di studio, nell’ambito delle attività formative del Corso di Alta Formazione in Dialogo interreligioso e Relazioni internazionali. L’incontro, partendo dalla domanda di Gesù ai discepoli « E voi chi dite che io sia? », aveva per titolo « Gesù di Nazareth e Paolo di Tarso dalla prospettiva ebraica ». Come moderatore, uno dei massimi conoscitori del dialogo tra ebrei e cristiani, il prof. Piero Stefani (Università di Ferrara; Facoltà Teologica di Milano e docente invitato all’ISSR “Marvelli”). Relatori: la prof.ssa Claudia Milani (Università Cattolica di Milano) ed il prof. Massimo Giuliani (Università di Trento).
La prof.ssa Milani ha brillantemente mostrato la dimensione variegata dell’ebraismo del tempo di Gesù e Paolo. Si confrontavano infatti correnti molto tradizionaliste ( i sadducei) e correnti assai più innovatrici e missionarie ( i farisei). Malgrado alcuni accenti critici, numerosi detti di Gesù si avvicinano a quest’ultima corrente: molti farisei sono poi diventati discepoli del Nazareno, tra questi Paolo, di famiglia ebraica emigrata a Tarso, che dichiara apertamente di essere « fariseo e figlio di farisei » (Atti 23,6), prima del suo incontro con Gesù risorto. Il prof. Giuliani, a partire dal volume da lui curato nel 2023 insieme a F. Ballabio, Gesù di Nazareth nel pensiero ebraico (Pazzini Editore) ha mostrato come il recupero dell’ebraicità di Gesù sia una prospettiva importante per l’ebraismo e per il cristianesimo: ne fanno fede – ad esempio – numerose pubblicazioni in ambito ebraico oppure la monumentale opera in cinque volumi del teologo cattolico J.P. Meier, Un ebreo marginale. Ripensare il Gesù storico, (Brescia 19912017).
Se nel primo cristianesimo vi fu, attorno a Gesù, un dibattito divisivo tra cristiani ed ebrei (« messia Figlio di Dio » e « compimento delle scritture » per gli uni; maestro eterodosso per gli altri), nel medioevo il conflitto si radicalizzò a tal punto da alimentare, nel mondo cristiano, il sentimento antisemita, e anche simili ed opposte considerazioni per parte ebraica. Tuttavia già nel rinascimento – attraverso il più approfondito studio filologico delle fonti bibliche – incominciarono ad apparire nel mondo ebraico più pacate riconsiderazioni della figura di Gesù, e del suo radicamento nella vita, nella cultura e nella religiosità ebraica.
Gli stessi documenti del Nuovo Testamento non possono essere sganciati da tale contesto semitico, pena un’errata comprensione delle dispute, ad esempio, tra Gesù ed i farisei, oppure il suo atteggiamento critico nei confronti dell’establishment del Tempio, o ancora il linguaggio parabolico ed i miracoli. Il recupero della riflessione sull’ebraicità di Gesù ha ricevuto una veste critica solo nel XX secolo. La svolta, in tempi moderni, si ebbe infatti con il libro in ebraico Yeshù ha-Notzrì (Gesù il Nazareno – 1922; seguito poi nel 1939 dal libro Da Gesù a Paolo) in cui l’autore J. Klausner – ebreo lituano – sostenne come Gesù fosse da considerare un ebreo e un israelita che cercò di riformare la religione e che morì da ebreo devoto scontrandosi con il rigido formalismo farisaico. Paolo fu invece un ebreo della diaspora che mescolò l’ebraismo con influssi ellenistici, creando così le basi della riflessione cristiana, ma sempre con un chiaro riferimento alla matrice giudaica. Un altro caposaldo è l’opera dell’ebreo ortodosso D. Flusser (19172000) che pubblicò nel 1965 il suo Jesus (rivisto e ampliato nel 1998 – trad. it. Morcelliana) e poi nel 1979 Il giudaismo e le fonti del cristianesimo (trad. it. Marietti, 1995). Va anche citato S. Sandmel (1911-1979) un ebreo americano che in Noi ebrei e Gesù del 1965 ha recensito in modo critico tutta la ricerca sino a lui condotta.
Infine – in Italia – R. Calimali ha pubblicato nel 1990 il fortunato Gesù ebreo (Rusconi).
Tutti questi scritti mostrano come la questione dell’ebraicità di Gesù sia importante e possa essere un vero campo di ricerca e di dialogo tra riflessione ebraica e teologia cristiana. Può essere smentita la famosa citazione dello studioso ebreo Schalom Ben Chorin « La fede di Gesù ci unisce, la fede in Gesù ci divide ». Ovviamente vi sono delle dimensioni dottrinali non negoziabili: mai l’ebraismo ufficiale potrà riconoscere la divinità di Gesù e la dimensione trinitaria di Dio. Nel contempo il cristianesimo non può rinunciare al primato della grazia divina, dispensata a tutti gli uomini attraverso il sacrificio del Cristo.
Ma non per questo ebraismo e cristianesimo non possono confrontarsi anche sulla fede in Gesù e sul suo insegnamento.
Un superuomo?
Il timore di attribuire troppo la fragilità umana a Gesù, è per il cristiano una tentazione. Tranne il peccato, è invece necessario affermare che l’umanità (anche etnica) di Gesù è in tutto simile a quella di ogni essere umano. Ha destato stupore l’affermazione di Papa Leone XIV, nella sua prima omelia da pontefice (9 maggio 2025) rivolta ai cardinali che lo hanno eletto: « Anche oggi non mancano poi i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto ».
Non basta lodare l’insegnamento di un Gesù maestro saggio e coerente (ma solo uomo) nè proclamare in modo ideologico una sua superiorità (solo) divina.
Bisogna tornare sempre, e nella fede, alla « carne di Gesù Cristo » a testimonianza della quale
Ignazio di Antiochia ha scelto di morire. Il Verbo incarnato è tale non in astratto, ma in concreto.
Il corpo di Gesù ‒ concepito da Maria Vergine, nato a Betlemme e « figlio del falegname » ‒ ha vissuto veramente la morte e, risorto, porta indelebilmente i segni della passione. La sua carne è contrassegnata dalla sua vicenda umana: circonciso l’ottavo giorno, nella casa di Davide e dalla stirpe di Abramo.
Guido Benzi