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Xenofobia e razzismo: linciaggio mediatico

Un invito ai colleghi giornalisti a mettere al bando le parole “clandestino, vù cumprà, extracomunitario, nomadi zingari” nei loro servizi su carta stampata, radio e tv: è stato lanciato dal gruppo “Giornalisti contro il razzismo”, che alcune settimane fa aveva lanciato un appello per esortare i media a rispettare il popolo Rom. Dopo un seminario svoltosi di recente a Settignano (Firenze) è stato deciso di compiere un primo passo concreto a partire dal linguaggio, ossia dalle parole che si usano per informare su Rom e migranti. Si chiede quindi agli operatori della comunicazione di “non usare queste parole” e “partecipare ad una discussione pubblica sulle parole utilizzate dai media e sui criteri di selezione e trattamento delle notizie”. “Siamo consapevoli che le distorsioni dell’informazione e il ruolo attivo svolto dai media nel fomentare diffidenza, xenofobia e razzismo non si esaurisce nell’uso inappropriato e stigmatizzante delle parole”, affermano i promotori dell’iniziativa, ma “crediamo che un linguaggio corretto e appropriato, quindi rispettoso di tutti, sia la premessa necessaria per fare buona informazione”.
Ai giornalisti viene chiesto di sottoscrivere questo impegno compilando on line (www.giornalisti.info.mediarom) il modulo di adesione all’iniziativa. In realtà un codice deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti denominato “Carta di Roma”, è stato già approvato nel mese di giugno dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti e dal Consiglio nazionale della Fnsi (il sindacato dei giornalisti). Nella Carta si invitano i giornalisti, tra l’altro, a “adottare termini giuridicamente appropriati”, a “evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte” e “comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati”. Il testo completo della carta è reperibile all’indirizzo: www.fnsi.it/Contenuto/Download/Carta_di_Roma.pdf

L’Osservatore Romano: l’impegno della Chiesa per l’immigrazione
“Dal 1970 a oggi si è passati da 143.838 presenze di stranieri in Italia a 4 milioni, con un aumento di quasi trenta volte. Prima questa presenza era marginale nella società italiana, ora ne è diventata uno dei fenomeni più rilevanti. La Chiesa, con le Caritas in prima linea, continua a svolgere opera di supplenza su più fronti”. L’Osservatore Romano presenta così l’impegno della Chiesa italiana sul versante immigrazione. “Quando la Caritas parla di immigrazione – spiega al quotidiano della Santa Sede don Vittorio Nozza, direttore di Caritas italiana – tutti sanno, perché lo sperimentano sul territorio, che dietro le parole c’è un lavoro quotidiano” nelle 220 Caritas diocesane presenti su tutto il territorio italiano, nei luoghi di accoglienza alle frontiere del nostro Paese, nei centri di ascolto, nelle numerose cooperative promosse per favorire l’inserimento lavorativo delle persone immigrate, nei progetti e percorsi di mediazione culturale e sociale, nelle parrocchie piccole e grandi e negli oratori, in cui giocano e crescono bambini immigrati e bambini italiani. Il primo impegno è l’accoglienza ordinaria: solo negli ultimi 5 anni, le Caritas diocesane hanno avviato, grazie anche ai fondi Cei dell’otto per mille, ben 164 progetti specifici per immigrati, rifugiati e richiedenti asilo, vittime della tratta, con un impegno economico di oltre 13, 5 milioni di euro.

Tonelli (Ucsi), “Il diritto di cronaca non prevede il linciaggio mediatico”
“Al di là dei fatti delinquenziali, che devono essere chiariti dalla magistratura poiché è evidente che chi viola la legge dev’essere punito, va riconosciuto che la percezione di pericolo nell’opinione pubblica è particolarmente forte da quando la tematica “rom-rumeni” è entrata nell’agenda politica per giustificare le misure contro l’immigrazione clandestina”. E poco importa se i rumeni non sono extracomunitari e quindi clandestini: “L’opinione pubblica non fa questo tipo di distinzioni”. È il parere di Giorgio Tonelli, giornalista, segretario dell’Ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna e segretario nazionale dell’Unione cattolica della stampa italiana (Ucsi), alla luce della ribalta mediatica che stanno ottenendo le notizie che hanno come protagonisti, perlopiù negativi, persone di etnia rom. “Nei giorni scorsi – aggiunge Tonelli al Sir – ho sentito Umberto Eco sostenere che quando un popolo ha un’identità debole, si rafforza costruendo la figura del “nemico”. Ecco, non vorrei che ora nel nostro Paese ci fosse un’operazione di questo tipo”.
Riguardo al comportamento dei media in questa vicenda, “nelle ultime settimane – osserva Tonelli – sono state più volte ignorate dai giornalisti le norme deontologiche che dovrebbero costituire la “carta d’identità” del professionista dell’informazione”. Un panorama ampio, quello della deontologia giornalistica, che va dalla tutela dei minori alla privacy, fino alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo. “Ebbene troppo spesso non vi è alcuna tutela dei minori ripresi nei campi rom”. Inoltre, “in certi programmi d’informazione gli interlocutori hanno utilizzato espressioni razziste al limite dell’istigazione al reato, senza essere censurati dal giornalista che conduceva”. Ma “il diritto di cronaca – rimarca Tonelli – non prevede il linciaggio mediatico, non può essere come la licenza di James Bond, e chi fa informazione deve avere la consapevolezza che nel momento in cui amplifica un messaggio simile diventa, consapevolmente o inconsapevolmente, uno strumento di quell’istigazione”. Il suo compito, al contrario, “dev’essere quello di mediatore delle varie espressioni della società, all’interno delle carte deontologiche che la categoria si è data”.